Poesia pro-Raggi, il tafazzesco autogol di Grillo che insulta i romani
Il Garante M5S rilancia un ambiguo componimento che offende la Capitale e i suoi abitanti, “colpevoli” di non volere più il sindaco. Strada per il Campidoglio ormai in salita?
Verrebbe da chiedersi cosa passasse nella testa del fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo quando ha rilanciato la cosiddetta poesia pro-Raggi. Un componimento in romanesco a firma del militante Franco Ferrari, sulla cui interpretazione in realtà gli addetti ai lavori continuano a discettare. Qualcuno vi legge infatti un endorsement al sindaco Virginia Raggi, altri una clamorosa presa di distanza dall’amministrazione capitolina. Di certo c’è che alcuni passaggi suonano come insulti sgradevolissimi alla Città eterna e ai suoi abitanti. Il che rende la mossa del garante pentastellato un autogol degno di Tafazzi.
La poesia pro-Raggi
Il caso è scoppiato quando il Grillo sparlante di Genova ha postato sul suo blog il “sonetto” dedicato al primo cittadino della Capitale. Che in realtà non è un sonetto, ma questo è il minore dei problemi.
La poesia pro-Raggi si intitolaVirgì, Roma nun te merita, vale a dire “Virginia, Roma non ti merita”. Con l’accento al posto dell’apostrofo, ma soprassediamo anche su questo dettaglio grammaticale.
Lo scritto si apre con l’invito al sindaco a prendere «una valigia, tuo figlio e tuo marito», onde andarsene «da questa gente di fogna». È solo la prima di una serie di ingiurie che l’autore indirizza ai Romani,apostrofati tra l’altro come rompic*** e infami. Ma anche all’Urbe, etichettata come «città bella e zo***la» che tutti gli onesti (sic!) dovrebbero abbandonare.
La colpa dei cittadini, ça va sans dire, è aver voltato le spalle al M5S – come peraltro sta avvenendo un po’ ovunque. Incredibile come non ci si accontenti di amministratori onesti e li si pretenda anche capaci ed efficienti… Stendendo poi un velo pietoso sulla narrazione per cui la città «è già tornata a vedere la luce», come ha rodomonteggiato il reggente Vito Crimi. Che probabilmente non si è accorto che la luce in questione filtra fra le montagne di monnezza.
Il testo ha scatenato la polemica anche all’interno del MoVimento, con vari esponenti che ne hanno preso le distanze. A partire dal consigliere capitolino Gemma Guerrini, che ha affermato di aver raramente «letto qualcosa di più squallido e di più volgare del post» in questione. E la sua collega Rosalba Ugolini ha rincarato la dose: «Una cosa è certa: la “gente di fogna” avrà buona memoria».
Le reazioni
Offendere gli elettori non è di certo un’idea saggia. E forse anche per questo la stessa Raggi, pur grata per l’omaggio, ha ritenuto di chiedere all’autore di rimuovere l’epiteto incriminato. «Quel “gente de fogna” non mi piace» ha scritto via social. «Lo so che ti riferisci a chi ruba o incendia ma, se puoi, toglilo».
Detto, fatto, e il «gente de fogna» si è trasformato in «gente da poco». Ma ormai la frittata era già fatta. Così, per confermare la veridicità della profezia della Ugolini, i tifosi della Roma hanno esposto in via Piccolomini uno striscione altrettanto pesante. Che faceva riferimento alle vicissitudini giudiziarie dell’Elevato («assassino») e del suo pargolo («stupratore»), chiudendosi con delle contumelie uguali e contrarie.
Naturalmente, però, il vero campo di battaglia è stato quello della politica. In cui lo sconcerto e l’irritazione (eufemismo) sono andati di pari passo con la corsa a decifrare l’ambivalente messaggio del presunto comico genovese.
Emblematico, a tal proposito, il cinguettio della presidente di FdI Giorgia Meloni. «Non è chiaro se il sonetto che Grillo ha dedicato alla Raggi sia un invito a non ricandidarsi o altro. Temo non lo sappia nemmeno lui. Chiarissimo, invece, è il disprezzo di Grillo per i romani. Espressioni come “gente de fogna” sono inaccettabili».
Poesia pro-Raggi o contro il sindaco?
Probabilmente, l’aspetto più curioso della lirica è proprio il fatto che ne vengono date, allo stesso tempo, due letture diametralmente opposte. Per cui, per esempio, nel Pd il deputato Marco Miccoli ha sostenuto che «l’era di Virginia Raggi a Roma si chiude qui». Aggiungendo di ritenere che l’unico obiettivo di Grillo fosse «quello di liquidare una classe dirigente incapace ed impreparata che lui stesso ha messo in campo».
Gli ha fatto eco la sua collega senatrice Monica Cirinnà, secondo cui «Virginia Raggi è stata scaricata da Beppe Grillo, direi definitivamente. Ed è stata scaricata nel modo peggiore: addossando alle romane e ai romani le responsabilità di un’amministrazione pavida, immobile, dannosa».
Considerazioni antitetiche nel MoVimento, dove prevale la linea della strigliata del padre nobile agli attuali vertici per non aver ancora preso posizione sul mandato zero. L’escamotage pensato per derogare alla regola per cui chi è stato in carica per due mandati – come, appunto, la Raggi – non può ricandidarsi ulteriormente.
Una nuova corsa per il Campidoglio?
Il Garante, dunque, sponsorizzerebbe ancora l’inquilina del Campidoglio, che secondo i grillini avrebbe anche i sondaggi a proprio favore. «La maggior parte dei romani vuole che continui la sua opera» si è detto certo il consigliere comunale Paolo Ferrara.
A onor del vero, una recente rilevazione ha attestato che il 66,8% dei Romani non vedrebbe di buon occhio la rielezione di Virgy. A fronte di un 25,1% che rivoterebbe l’attuale primo cittadino.
Sembra dunque che abbia visto giusto Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera di Forza Italia, nell’argomentare che è tutta questione «di capacità o incapacità». E concludendo che «sono i romani a non meritare una calamità come Virginia».
Il dilemma, in realtà, sarebbe facilmente risolvibile, almeno secondo il coordinatore romano di Italia Viva Marco Cappa, che ha scelto la strada dell’ironia. «A’ Beppe, Roma nun se merita na sindaca così. Tiettela stretta a Virginia tua».
In effetti, che l’opera fosse o meno una poesia pro-Raggi, è indubbio che il cosiddetto comico volesse tracciare una rotta. E, se è davvero così sicuro della bravura della sua pupilla, potrebbe sempre candidarla nella sua città. Così sarebbero tutti felici e contenti. A parte, forse, i Genovesi stessi.