La letteratura apocalittica, familiare per gli ascoltatori di Gesù ma non per noi contemporanei, conteneva in sé una precisa concezione del mondo e della storia soggetta alle potenze del male, al cui dominio Dio avrebbe posto fine con un suo intervento salvifico alla fine dei tempi. Solo in questo tempo futuro i giusti, sulla terra soggetti a persecuzioni e avversità, avrebbero sperimentato la beatitudine, al contrario degli empi, che sarebbero andati incontro al giudizio divino. Pertanto, la visione apocalittica della storia era animata dalla profonda convinzione che questo mondo avrebbe avuto una fine e che l’intero corso storico degli eventi era nelle mani di Dio, dal quale dipendevano le sorti delle nazioni e di ciascun essere umano.
Per questo motivo il discorso che contiene queste parole di Gesù costituisce l’ultimo insegnamento di Gesù prima degli eventi della passione (Lc. 21, 25-36). Lungo il discorso Gesù preannuncia anzitutto i perturbamenti storici che caratterizzeranno i tempi futuri: gli inganni cui saranno esposti i suoi discepoli, le avversità in mezzo alle quali essi dovranno rendere testimonianza al Vangelo, e la distruzione di Gerusalemme.
A questi eventi catastrofici, espressione del domino delle potenze del male sul mondo, porrà fine la venuta del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi (v. 27). Questa “parusia” (venuta finale) sarà preceduta dall’accadimento di diversi segni cosmici, che interessano l’intera creazione: Gesù fa riferimento ai principali corpi celesti conosciuti nell’Antichità (sole, luna, stelle), alla terra e alle acque (v. 25).
Più che alla lettera, dovremmo interpretare queste affermazioni di Gesù alla luce dell’immaginario del Vecchio Testamento a cui esse attingono. La letteratura degli antichi profeti (Isaia, Ezechiele, Gioele) evocava questi sconvolgimenti che annunciavano l’imminente intervento di Dio, che avrà un duplice effetto: il giudizio per gli empi e la salvezza per i giusti. Le affermazioni successive confermano che la prospettiva di queste parole di Gesù è la stessa.
Anzitutto, questi sconvolgimenti cosmici getteranno interi popoli nella paura, nell’attesa di quanto dovrà avvenire (v. 26): la venuta del Figlio dell’uomo, che sarà vista da tutti gli uomini. Per molti questa venuta sarà un evento di giudizio e di castigo: l’angoscia e la paura che essi sperimenteranno e la morte cui andranno incontro sono indizi evidenti del carattere distruttivo che questa venuta assumerà per loro. Il Figlio dell’uomo viene su una nube, che nell’Antico Testamento è spesso figura della presenza stessa di Dio. Inoltre, egli viene con potenza e gloria, anch’essi tratti divini.
Se i segni premonitori della venuta finale del Figlio dell’uomo si caratterizzano negativamente per gli empi, per i discepoli essi assumono un significato differente. Di fronte ai grandi sconvolgimenti cosmici che anticiperanno la venuta del Figlio dell’uomo, essi non solo non dovranno temere, ma potranno alzarsi e sollevare il capo (v. 28): questi atteggiamenti del corpo denotano speranza e la fiducia con le quali essi potranno guardare ai segni premonitori preannunciati in precedenza. Gli eventi, che per gli empi segneranno il giudizio di Dio sulle loro malvagità, saranno per gli eletti i segni di una salvezza prossima, donata dal Signore. E’questo il significato del termine “liberazione”, spesso utilizzato nella Scrittura per denotare l’intervento redentore di Dio, che riscatta il suo popolo e i suoi fedeli. Nella venuta del Figlio dell’uomo, Dio opererà e libererà il suo popolo dall’oppressione di un mondo dominato dal male.
Proprio per il carattere decisivo del proprio atteggiamento e della propria condotta, c’è bisogno di essere pronti e vigili. I discepoli non devono lasciarsi irretire da preoccupazioni mondane e da una vita disordinata, di cui sono metafora “le dissipazioni e le ubriachezze” (v. 34). Esse rischiano di distogliere l’attenzione del discepolo dal destino ultimo della storia e della sua vita. Per il discepolo che resta invischiato negli affanni mondani il rischio è che anche per lui, come per quanti non si sono posti alla sua sequela, la venuta del Signore possa giungere improvvisa e risultare disastrosa.
L’immagine del laccio (v. 35) intende sottolineare il carattere inaspettato di tale venuta per quanti non vi si sono preparati con le dovute disposizioni. Il discorso di Gesù si conclude con un’esortazione alla vigilanza (v. 36), che l’evangelista Luca coniuga insieme all’atteggiamento orante che il discepolo è chiamato ad assumere. La preghiera, con la quale l’uomo e la donna mantengono la loro relazione di comunione con il Signore, permette loro di essere vigili sugli eventi della storia, leggendo i suoi sconvolgimenti non come la parola ultima su di essa, ma come i segni premonitori della salvezza definitiva.
Nella vigilanza orante, il discepolo potrà sfuggire al giudizio divino. Pertanto, più che “la fine” della storia, il discorso di Gesù intende suggerire “il fine” di essa: Dio non abbandonerà i suoi fedeli, il Figlio dell’uomo verrà a donare la redenzione a quanti si saranno mantenuti fedeli alla sua sequela. Pertanto, quello “escatologico” si configura come un discorso carico di speranza per i discepoli di tutti i tempi.
Grazie, Signore, per questo tempo di Avvento che mi invita a ritrovare la direzione del mio cammino, il senso della mia fatica, il traguardo che mi attende. Grazie per l’effetto benefico che produce su tutta la mia esistenza. Donami di tenere gli occhi aperti e di vegliare, come una sentinella che non si addormenta e non si distrae. Donami di mantenere il contatto con te, attraverso una preghiera semplice, che dilata il cuore e lo prepara ad accoglierti.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Filannino, 2021; Laurita, 2021.
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