Categorie: Cronaca

Privacy: lo scandalo di Facebook e la finta libertà dei social

Dobbiamo credere alle lacrime di Sheryl Sandberg, chief operating officer di Facebook, e del signor Marc Zuckerberg, che si è cosparso il capo di cenere, chiedendo scusa nel suo tour per il mondo, in merito agli scandali messi in evidenza all’interno del social network da parte del New York Times, per aver consentito l’uso illecito dei dati privati di milioni di utenti da parte di società di lobbies e aver cercato poi di nasconderlo. Se Facebook è stato, consapevole o meno, consenziente spalla, per le ingerenze russe nelle elezioni americane di Donald Trump, sembra ormai abbastanza evidente. Il fatto che abbia cercato di sviare, ritardare, negare queste notizie, gettando fango sugli oppositori e alimentando teorie complottiste sui migranti, è il dato che sta emergendo più recentemente. Non solo colpevoli ma anche doppiamente falsi.

Facebook e i nostri dati sensibili

La “capa” Sheryl Sandberg si sarebbe infuriata, più che per le responsabilità sociale della sua compagnia, per le dichiarazioni fornite dal capo della sicurezza del social network, Alez Stamos ai membri del consiglio di amministrazione. “Il briefing di Stamos aveva provocato un umiliante interrogatorio nella sua sala riunioni, all’interno di Menlo Park, in California, della signora Sandberg, responsabile operativa e del suo grande capo Marc Zuckerberg.” Si legge su un articolo del quotidiano newyorchese del 14 novembre scorso, a firma Sheera Frankel, Nicholas Confessore, Cecilia Kang, Matthew Rosemberg e Jack Nicas.

Ci hai buttato sotto un autobus!” ha gridato la “mega direttora” a Stamos, a detta dei presenti. Quello che emerge, signori, è che i social network, strumenti meravigliosi di interscambio mondiale, mezzi che ci consentono connessioni immediate, con amici, parenti, colleghi e conoscenti, praticamente in una presunta “piena libertà”, con scambio di pareri, opinioni, documenti, foto e video, al di là dell’uso improprio che qualcuno individualmente può aver fatto e che col tempo si sta regolamentando, è in realtà un pozzo di informazioni raccolte e vendute per usi illeciti, a fini pubblicitari e consumistici, nel migliore dei casi e a fini di indirizzo politico ed elettorale nel peggiore. Avere le prove che le elezioni “democratiche” negli stati Uniti o in qualsiasi altro paese del mondo, dall’Italia al Bangla Desh, dal Messico alla Thailandia, possano essere indirizzate da società occulte, che studiano e gestiscono i profili privati (gli account) degli utenti , fa decadere in un attimo il mito su cui si fondano le democrazie moderne. Il “Re è nudo”, verrebbe da dichiarare. Non so se mi spiego!

Sheryl Sandberg e Marc Zuckerberg

Social Network e la protezione dei dati

Cos’è Facebook? Una nazione globale, una piazza mondiale di 2,2 miliardi di persone, che al suo interno può rimodellare le campagne pubblicitarie e la vita quotidiana di tutti noi. Potete immaginare i dati che Facebook abbia in suo possesso, riguardo a queste utenze? Un tesoro. Il tesoro di oggi, informazioni che si traducono in dollari e in potere. Il potere di orientare e indirizzare le opinioni in base a fini politici ed economici.

Stiamo assistendo, nel mondo, a un revanscismo di campagne di odio, antisemitismo, anti islamismo, campagne contro i poveri e i derelitti del mondo, campagne di egoismo e di chiusura autarchica. Invece di costruire ponti e creare solidarietà, nel mondo si alzano muri e si creano divisioni: la Brexit, il populismo, gli ungheresi che bloccano i confini, i polacchi che li sostengono, il successo dei nazisti in Austria e in Baviera, l’avanzata della Le Pen in Francia, Trump che esce dai Trattati per l’Ambiente, chiude alle relazioni con gli alleati di sempre, alza dazi con Russia, Cina e anche con l’Europa, schiera 15.000 militari al confine col Messico, per fermare 8.000 disgraziati che, a piedi, arrivano dall’Honduras per cercare un’alternativa di vita. Se nel mondo c’è chi soffre, invece di rendersi conto delle cause, che non ci vedono del tutto immuni da responsabilità, si voltano le spalle, la parola d’ordine è il “me ne frego” di triste memoria, per chi c’è passato. Anche Israele, che avrebbe tutte le ragioni per comportarsi come la sua storia vorrebbe, sembra aver rimosso l’Olocausto e usa la mano pesante con i palestinesi già da decenni.

Se questo sia il mondo disegnato dai fautori dell’egoismo autarchico e cavalcato dai vari Steve Bannon (ex consigliere di Trump, dichiarate simpatie naziste, amico di Matteo Salvini) e Nigel John Oakes (sito web SCL, coinvolto in vari scandali per ingannare utenti e fruitori di social network) non lo sappiamo, certo è che in questo mondo, l’immagine orwelliana del “Grande Fratello”, non quello televisivo, ma quello politico, appare sempre più presente. Un mondo che può facilmente, grazie ai social network, consentire a pochi dirigenti di società di gestione dati, di impossessarsi delle personalità, dei gusti, delle opinioni dei cittadini e farsene guida, gestore, in una parola preoccupante: “duce”.

George Soros

I fatti li troviamo ben esposti da Marta Serafini nel suo articolo “Facebook nella bufera”, sul Corriere della Sera, del 15 novembre 2018: “Facebook ha impegnato una società di analisi di orientamento repubblicano, la Definers Public Affairs, per screditare i manifestanti attivisti, in parte collegandoli al finanziere George Soros. La Definers ha pubblicato contenuti di propaganda sulla piattaforma NTK Network.com spesso rilanciata dal sito di estrema destra Breitbart, di cui Steve Bannon è stato presidente esecutivo. Inoltre ha pubblicato un report che ha insinuato legami tra «un ampio movimento anti Facebook» a Soros, già oggetto di attacchi anti semiti e di teorie del complotto. Le insinuazioni hanno raggiunto l'apice nelle settimane precedenti alle elezioni di midterm, mentre veniva sostenuta da alcuni esponenti politici la teoria che dietro la carovana dei migrant,i diretta dall'Honduras verso gli Stati Uniti, ci fosse Soros. Lo stesso NTK Network è stato poi utilizzato per screditare gli avversari quali Google e Apple.

Gli utenti Facebook sono consapevoli?

Gli utenti di Facebook non hanno mai autorizzato il colosso americano a condividere le loro informazioni, foto, storie con chicchessia. Ma Facebook ha concesso l’accesso a questi dati di centinaia di milioni di persone, ai produttori dei dispositivi, computer, telefoni, tablet. Di questo li accusa Ron Wyden, dell’Oregon Democrarico, avvocato della privacy e critico dei social media. Secondo il New York Times, su dati forniti da Wyden, fin dal 2013 Facebook aveva stipulato accordi di condivisione di dati con ben sette produttori. L’accesso a Facebook, Twitter, Google è possibile direttamente da ogni telefono di nuova generazione. Si presenta coma una comodità eccezionale per l’utente, mentre è il meccanismo per il suo controllo. Sempre l’industria sfrutta la pigrizia del consumatore per abbindolarlo, per carpirne informazioni che poi potrebbero ritorcersi a suo danno. Facebook entrò, anche da prima del 2013, forse fin dal 2007, in dozzine di partnership con i produttori di dispositivi (Apple, Samsung, Hawei, Microsoft ecc..), perché i dati personali potessero circolare tranquillamente all’interno di questo circuito. “Quando un team di Pricewaterhouse Coopers ha condotto la valutazione iniziale mandata dalla Federal Trade Commission nel 2013, ha testato le partnership di Facebook con Microsoft e Research in Motion, produttore del telefono BlackBerry. In entrambi i casi, Pricewaterhouse Coopers ha riscontrato solo "prove limitate" che Facebook aveva monitorato o controllato la conformità dei suoi partner con le sue politiche di utilizzo dei dati. Questa scoperta è stata redatta da una versione pubblica del rapporto di Pricewaterhouse Coopers pubblicato dalla FTC a giugno.” (N.Y.T. 12 novembre 2018 Nicholas Confessore, Michael La Forgia e Gabriel JX Dance)

L’avvocato Wyden ha gioco facile per dimostrare che Facebook sapeva che queste compagnie potevano accedere ai dati e anzi la società di Menlo Park aveva accordi sottoscritti in merito e questa condivisione era in costante aumento fin dal 2013, nonostante si dicesse in giro che Facebook era garante della salvaguardia delle informazioni personali di tutti noi. Falso!

Facebook e i produttori di dispositivi, volevano che i servizi fossero disponibili non solo sui desktop ma anche su qualsiasi altro dispositivo in funzione da parte dello stesso utente: cellulari, smart Tv, consolle di gioco (playstation) o qualsiasi altra diavoleria comunicazionale. “Facebook ha affermato che i partner di dispositivo utilizzano l'accesso ai dati privati ​​sia per l'app di Facebook sia per altre app e integrazioni che considera parte dell’esperienza di Facebook. Ciò varia a seconda della società produttrice del dispositivo. Alcuni dispositivi hanno app che mostrano i messaggi di Facebook in un "hub" sociale insieme ad altri messaggi. Altri integrano gli aggiornamenti di stato di Facebook e le informazioni sugli amici nel feed delle notizie del dispositivo. In alcuni casi, il dispositivo trasferisce i dati di Facebook nelle proprie rubriche.” (NYT 12.11.2018)

Un’ultima considerazione amara. Tutto questo è emerso anche con lo scandalo di Cambridge Analytica relativamente alle elezioni americane vinte da Donald Trump. Pochi analisti, con nomi e cognomi ormai divenuti famosi, hanno gestito milioni e milioni di dati privati forniti da Facebook, non sappiamo a che cifra, per indirizzare le opinioni degli elettori. La società., in seguito allo scandalo, è stata chiusa ma molti dei suoi dirigenti si trovano ora in “Emerdata”, compagnia angloamericana con le stesse finalità e, soprattutto, con gli stessi dati che erano in possesso di Cambridge Analytica, ovvero 87 milioni di informazioni di utenti singoli. Profili che costituiscono una base per futuri aggiornamenti e integrazioni. Nuove elezioni sorgono all’orizzonte, in Europa e in altri paesi di rilevante interesse internazionale. Nuovi scenari si aprono per i nostri strateghi dei social network, anche perché noi utenti non sappiamo e non vogliamo rinunciare alla nostra (finta) libertà di chattare, conversare, esprimere pareri che pensiamo nostri, ma ora dobbiamo essere consapevoli che quando interveniamo nei social network, non siamo soli. C’è chi ci osserva, chi ci invia notizie, foto, suggerimenti, per i quali si aspetta una reazione. Le notizie non debbono necessariamente essere vere, oggettive, anzi, si possono arricchire, ingigantire, dimensionare a secondo di quello che è il nostro modo di pensare che loro già conoscono. Altri si interconnettono, scattano i link, i mi piace, scattano le offese, le critiche, scattano le discussioni. Tutto questo crea consenso o dissenso, dipende con il vantaggio di chi. Ecco seguendo chi ne trae vantaggio potete facilmente capire chi è il committente che sta cercando di convincervi. Sta a voi stare al gioco o smettere di giocare. Ma non pensate di “giocare voi” il committente, lui ha armi che voi non avete e non avrete.

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