Pubblicare una foto su Facebook senza il consenso dell’interessato costituisce un illecito e può comportare il pagamento di somme, anche elevate, per risarcimento dei danni, per violazione del diritto alla privacy o alla riservatezza.
È quanto accaduto, suo malgrado, a un noto professionista di Velletri, l’avvocato Carlo Affinito, mentre si trovava, per ragioni professionali, seduto a una scrivania del tribunale di Velletri, appena subito dopo le feste di Natale.
Il legale, intento a studiare delle carte processuali, è stato ritratto in una foto, pubblicata a sua insaputa su Facebook, con commenti derisori al suo taglio di capelli alla coreana.
E così, dopo le critiche ai capelli giallo paglierino del primo ministro britannico Boris Johnson, ai capelli biondi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump improvvisamente tornati bianchi in questi giorni, ai capelli che lacrimano gocce nere sul volto dell’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani in quanto sudato lui e tinti loro, ai capelli del dittatore nordcoreano Kim Jong-Un, rasati ai lati e lunghi sopra, le chiacchiere degli avvocati di tutta Italia hanno colpito anche i capelli dell’avvocato Carlo Affinito, suo malgrado paragonato a uno dei grandi del pianeta, per il suo particolare look tricotico.
Il professionista, noto per frequentare le aule dei tribunali di Velletri e Roma, è stato subito riconosciuto da numerosi colleghi e clienti ed è stato notato su Facebook, per il suo taglio di capelli “alla coreana” (corti ai lati e lunghi sopra la testa).
La foto è stata scattata, all’insaputa del malcapitato professionista, da un giovane avvocato che ha ritenuto l’immagine interessante per le finalità della moda. L’immagine dello scatto è stata poi postava nel gruppo Facebook “Avvochic & choc (la moda nei tribunali)“, gruppo che conta oltre trentamila iscritti.
L’avvocato Affinito veniva pertanto accostato, per i suoi capelli e l’aspetto fisico, al dittatore Kim Jong – Un e la fotografia, che faceva il giro dei server del mondo, veniva intitolata “Kim Jong-Avv”.
Subito scoppiavano le polemiche: infatti, il gruppo Facebook “Avvochic & choc” si prefigge l’obiettivo di stimolare le critiche in tema di moda e, mai come questa volta, è riuscito nell’intento.
La fotografia dei capelli rasati dell’avvocato Affinito scatenava in effetti le reazioni dei membri del gruppo, sicché venivano in pochi minuti raggiunti oltre millesettecento like e post di ogni genere, da quelli di approvazione (emoticon di cuori, abbracci, sorrisi) a quelli di disapprovazione (emoticon con le lacrime agli occhi).
Inoltre venivano postati oltre cento commenti, alcuni offensivi inneggianti al culto del corpo o alla necessità di un look classico per chi svolge la professione forense, notando come il dittatore coreano non sia un buon avvocato.
Per tutta risposta, l’amministratore del gruppo, avvocato pure lui, bloccava il post e l’avvocato Affinito chiedeva a Facebook di rimuovere la fotografia e i commenti. Allo stesso tempo il professionista si era riservato di chiedere i danni, com’era prevedibile, all’autore dello scatto e all’amministratore del gruppo, lamentando a costui di non aver correttamente vigilato a tutela della riservatezza.
Venivano invocate per i danni numerose norme: l’art. 6 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati RGPD o GDPR in General Data Protection Regulation, regolamento Ue 2016/679 che vieta di scattare fotografie senza il consenso dell’interessato, nonché di pubblicare tale fotografie.
L’art. 10 del codice civile sull’abuso dell’immagine e la legge n. 633 sulla protezione del diritto d’autore, che risale al 1941 ed è tuttora in vigore, che vieta all’art. 96 di scattare e pubblicare fotografie senza il consenso dell’interessato.
Infatti, il consenso allo scatto e alla pubblicazione delle foto non è necessario soltanto per talune categorie di soggetti, ossia se si tratta di persone note (attori, personaggi della moda o dello spettacolo) ovvero se ricorrono finalità di giustizia o di polizia per la pubblicazione, scopi scientifici, didattici, culturali o in occasione di fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico (ex art. 97 legge n. 633/1941).
Tra l’altro, oltre a un illecito civile, è facile ipotizzare strascichi penali nella condotta, in quanto il professionista ritratto ipotizza anche il reato di molestia. Il reato suddetto è punito dall’articolo 660 del codice penale, con l’arresto fino a sei mesi o la multa fino a € 516,00.
Se poi la fotografia viene scattata in un contesto privato (in un’abitazione, una camera d’albergo, sul luogo di lavoro) potrebbe ravvisarsi il delitto di interferenze illecite nella vita privata. L’illecito civile è punito dall’articolo 615 bis del codice penale, che prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni.
L’illecito trattamento dei dati (l’immagine della foto) è punito anche dall’art. 167 del codice della privacy di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi.
Se poi la pubblicazione della foto fosse ritenuta offensiva in sé, sarebbe configurabile il reato di diffamazione col mezzo della pubblicità, punita dall’art. 595 comma 3 del codice penale con la reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad € 516,00.
Ciò, anche per eventuali commenti e like. Quindi, una costellazione di sanzioni, tali da far impallidire chiunque.
Facebook si difende tirandosene fuori: risponde solo se omette, una volta informata dell’illecito, di rimuovere il post abusivo (art. 16 e 17 del decreto legislativo del 9 aprile 2003 , n. 70).
Infatti, si limita a offrire un servizio, c.d. di hosting del contenuto, essendo un ISP (un Internet Service Provider), visto che le pagine web sono messe a disposizione prive di contenuti, di cui soltanto gli utenti rispondono personalmente.
Le polemiche si placheranno forse solo a suon di risarcimenti. Ecco perché, prima di scattare una foto e di pubblicarla su Facebook, è sempre bene interrogarsi se la persona ritratta abbia dato il suo consenso.
E badate bene, l‘autorizzazione non solo allo scatto, ma anche alla pubblicazione. Diversamente, l’autore dello scatto si può togliere la sua soddisfazione, ma rischia di dover pagare a caro prezzo il suo vezzo artistico.
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