Cene al ristorante. Fate attenzione a dove andate, anche i ristoratori sbagliano. Non siate remissivi: protestate civilmente, rimandate il piatto indietro, contestate la ricetta, il servizio, la posateria, i bicchieri sbagliati e se proprio non vi si filano, andatevene e non ci mettete più piede.
Vi trovate in un bel ristorante per una cena di un giorno di festa. L’atmosfera è piacevole ma qualcosa nel servizio vi turba. Il cameriere vi porta del pane e dell’acqua in una caraffa, tutto non richiesto. Poi vi chiede se volete del vino o birra. Che fare? Per il neuroscienziato americano Daniel Amen il motivo è molto semplice ed è un modo per i ristoranti per incentivarvi a mangiare di più e spendere più soldi. Lo ha spiegato in un video su TikTok, che è stato visto quasi 2 milioni di volte provocando diverse reazioni tra gli utenti.
Per Daniel Amen il motivo di questo comportamento è un modo per incentivarvi a mangiare di più e spendere più soldi. In sé potrebbe sembrare un gesto di accoglienza, per dare il benvenuto al cliente. Ma se vuoi farmi un regalo cortese, mi proponi un brindisi con un Franciacorta o uno Champagne, in alternativa anche un Prosecco di Valdobbiadene millesimato, magari un Cartize, ben fresco, accompagnato da alcune mini tapas. Non deve mettere sul tavolo del pane e dell’acqua sfusa, oltretutto.
L’acqua deve essere in bottiglia sigillata che il cameriere apre davanti a te, così come dovrebbe essere per l’olio extravergine di oliva, in una bottiglia con etichetta ben visibile. Per il pane deve chiedere se ne voglio e di che tipo, oppure fa scegliere tra i diversi tipi che la casa offre ai suoi clienti: grissini, casareccio, rosetta, pane all’olio, pizza bianca o focaccia.
Secondo il neuroscienziato americano l’offerta di pane e alcol (vino) si deve al fatto che entrambi agiscono sul lobo frontale del cervello e rendono più probabile che il cliente venga invogliato a spendere di più nella scelta dei piatti che seguirà.
Il cervello è diviso da un solco longitudinale in due emisferi, ciascuno contenente sei lobi separati. I lobi frontali sono fondamentali per la pianificazione e l’esecuzione dei comportamenti acquisiti e intenzionali. Sono anche la sede di molte funzioni inibitorie.
Per quanto riguarda il pane, Daniel Amen ha spiegato che “è un investimento da parte dei ristoranti perché ti dà un picco di zucchero nel sangue che poi spinge la serotonina nel tuo cervello e ti rende felice”. Se riesce ad abbinare pane e alcol con quei due elementi zuccherini, può influenzare il lobo frontale del cervello, accrescendo il buon umore e spingere il cliente a festeggiare ordinando cibi più costosi. Il pane, per esempio, alza la glicemia e poi la fa scendere rapidamente, aumentando il senso di fame. Grazie alla serotonina quindi si alza il tono dell’umore, l’appetito ma la serotonina serve anche ad ampliare il senso dell’empatia, la creatività, l’apprendimento e la memoria. Per questo iniziare con le bollicine mette di buon umore e viene voglia di passare una bella serata in armonia col partner.
Uno degli errori è proprio quello di chiedere cosa si vuol bere, che è diverso dall’offrire le bollicine. Lo spumante apre la serata, dovrebbe essere un omaggio della casa, e predispone a una cena godibile. Se lo spumante viene servito nella flûte potete chiedere di cambiare bicchiere. La flûte non si usa più da tempo. È quel bicchiere stretto e lungo, anche difficile da gestire. Mentre il vino spumante ha bisogno di liberare il suo brio gassoso con uno spazio più ampio, che una coppa di cristallo consente.
La richiesta di un vino per pasteggiare non si può fare prima dell’ordinazione dei piatti. In questo caso si spiega semplicemente che sulle bevande decideremo dopo l’ordinazione. Ma depone male che il cameriere ve lo chieda prima di prendere la cosiddetta “comanda”. Sarebbe già da alzarsi e andarsene, ma siamo rispettosi e pazienti.
Succede che non vengano dati i tovaglioli, che si dimentichino una o più posate, che si scordino il sale e il pepe. In questi casi si può tranquillamente attendere il momento dell’ordinazione per farlo notare.
Se si compiono degli errori grossolani nella preparazione del piatto lo si può far notare anche subito, dipende dalla gravità. Se il piatto è immangiabile lo si rimanda indietro subito. In genere il ristorante ti consente un cambio senza sovraprezzo, nel caso non lo facessero, si passa ad un’altra pietanza ma questo gesto segna un punto molto negativo nel giudizio finale. Il piatto potrebbe essere mangiabilissimo ma contenere degli errori che si possono accettare o meno.
Per esempio cucinare dei molluschi col burro. Ha suscitato polemiche una ricetta dello chef Bruno Barbieri (Masterchef, su Skyuno, ma non mi stupisce quello è un Talent non un programma di cucina, come molti giornalisti fraintendono). I piatti di pesce, specie la pasta con le vongole, si preparano sempre con olio extravergine d’oliva, preferibilmente delicato, olio ligure o del Garda. Altrimenti il burro o un olio siciliano o pugliese ucciderebbe il profumo delle vongole.
Altri errori grossolani sono quelli per cui il piatto viene servito già con il parmigiano grattugiato. Non si fa. Il cameriere lo grattugia all’istante, nella quantità desiderata dal cliente. Secondo me sarebbe giusto dire che formaggio viene grattugiato. Può essere un Parmigiano Reggiano di varie età di invecchiamento, oppure un Grana Padano, un Pecorino Romano o altro. Si può grattugiare anche la Ricotta salata o marzotica, pugliese o siciliana, per esempio sulla Pasta alla Norma.
Indicare la provenienza e anche la tipologia dà un tono di classe al ristorante che lo fa, segno che si utilizzando prodotti di alta qualità. Andrebbero riportati sul menù, accanto alla descrizione del piatto o nell’ultima pagina, chi sono i fornitori degli ingredienti, con una indicazione della loro reperibilità. Fare pubblicità a chi fa bene il proprio lavoro esalta anche quello della ristorazione.
Le imperfezioni da evidenziare sono eventuali bruciature, se la pietanza non ha sapore, se la pasta è scotta, o il riso è scotto, ancora peggio, si rimanda indietro il piatto. Senza se e senza ma: “Questa pasta è cotta troppo, la riporti in cucina per favore”. Dopo un paio di esperienze ho imparato a non ordinare mai pasta o risotti fuori d’Italia, proprio per evitare questo possibile errore. Ma a volte può capitare anche in Italia.
La carne è troppo dura, o poco cotta al centro? Sono errori di cottura che si possono far notare e far rifiutare la pietanza. Chiedono spesso, quando si ordina filetto, bistecca, ribe eye, entrecote il tipo di cottura: ben cotta, cottura media o al sangue. Un ristorante come si deve non dovrebbe chiederlo. Altresì un cliente come si deve dovrebbe sapere che la carne va mangiata cotta al punto giusto. La bistecca o il filetto non dovrebbero essere distrutti da una cottura prolungata che le riduce a una suola di scarpe. Né insanguinare il piatto.
Sono entrambi errori di cottura. Il centro della porzione sarà rosato, profumato, gradevole. La carne sarà stata cotta al punto giusto e non deve insanguinare il piatto o la pezza di lino sulla quale si pone. Al termine della cottura viene salata con poco sale grosso e solo il cliente deciderà se aggiungervi pepe e olio. Ma non dovrebbe, perché altera il sapore della carne. Molti invece tra coloro che lavorano alla griglia amano spargere sale e pepe o altre spezie, se poi aggiungono l’olio la carne s’incendia e arriva bruciata.
Se il vino sa di tappo non è colpa di nessuno. Succede e lo si sa solo quando si stappa. In effetti il sommelier dovrebbe accorgersene subito e neanche portare la bottiglia al cliente. Ma se il ristorante non è di livello succede che il cameriere la stappi al momento di versare il vino. Altro errore. Se il vino è un rosso strutturato, avrà bisogno di prendere aria, di passare nel decanter prima di essere servito. Quindi va bene, dai, chiediamo un’altra bottiglia e passiamo oltre.
Va più che bene ordinare vino al bicchiere, o in coppa come dicono all’estero. Se non ci si sente in grado di condividere una intera bottiglia meglio optare per due coppe. In questo caso tuttavia bisogna adattarsi ai vini che il ristorante mette a disposizione per questo servizio. Di solito sono pochi vini e molto standard: Merlot, Sauvignon, Sangiovese e qualche bianco fermo o un vino altoatesino ricco di sentori aromatici. In questo caso spero che la coppa sia adeguata. Per non sbagliare ora i ristoranti usano coppe medio grandi, che vanno più che bene per bianchi e per i rossi non prestigiosi. Un Barolo, un Brunello di Montalcino un Chateneuf du Pape non credo che saranno mai tra i vini da servire in coppa.
La prima volta che mi capitò di cenare da Fabio Picchi, chef gastronomo fiorentino scomparso da poco tempo, che ha costruito una piccola oasi di bontà in via de’ Macci, al Cibreo, fui letteralmente sopraffatto da gesti di amore gastronomico. Prima di tutto una signora che trasmetteva serenità e competenza si era seduta al tavolo con noi, per offrirci un panorama ragionato del menù. Non ero costretto a decifrare quale piatto mi avrebbe fatto piacere assaggiare ma lei stessa ci forniva tutte le informazioni necessarie e cercava di carpire i gusti miei e della mia ospite, dalle nostre domande. Una volta terminata l’ordinazione la signora si dissolveva davanti ai nostri occhi, con un gran sorriso incoraggiante. Era stato il modo migliore di iniziare la cena.
Il Cibreo non è l’Enoteca Pinchiorri, che vale tutta la fama e il costo delle sue storiche tre stelle Michelin. Tuttavia il Cibreo era, e spero sia rimasto, un museo della tradizione gastronomica toscana, dove è possibile vivere la storia della cucina regionale ad ogni morso, ad ogni abbinamento. Si va in questi ristoranti per imparare, per godere, per degustare. Quindi nel fare un’ordinazione resti sempre un po’ deluso per non poter assaggiare anche altro. Questo sentimento Fabio Picchi lo deve aver provato in prima persona e aveva organizzato una strategia che consiglio a tutti quei ristoratori che abbiano una offerta ricca di qualità e di varietà.
Tra una portata e l’altra della ordinazione, un cameriere lasciava sul piatto, a piacere nostro, dei piattini con assaggini di piatti non ordinati, di gusti non provati, di desideri non soddisfatti. Quello che non avevamo potuto scegliere per cognizione degli spazi stomacali, la signora di prima, aveva progettato ci venissero offerti come gesto di cura, di attenzione, di affetto. Almeno questa era la mia sensazione. Mi sono sentito considerato, coccolato, amato. Come quando mangiavo dalla nonna che mi viziava.
Se ti fanno aspettare più del dovuto, prima di prendere l’ordinazione non attendere oltre, chiedi il conto se hai consumato qualcosa dal tavolo e vattene. Se non hanno frutta fresca non ci tornare più. La frutta fa bene e dovrebbe sempre far parte di ogni pasto. Se ci sono troppe mosche, non ci tornare più. Se quando devi chiedere il conto spariscono tutti i camerieri, alzati e vai a chiederlo alla cassa e poi lo fai notare a chi di dovere.
Tra le ragioni per cui evito di tornare nei ristoranti, le principali riguardano il fastidio dovuto a un rumore eccessivo per il vociare delle persone sedute. È un problema di rimbombo della struttura ma è una situazione davvero sgradevole e anche di maleducazione dei clienti. Altra motivazione negativa è la presenza di bambini piccoli piangenti. Lo so non è colpa dei bambini, forse dei genitori ma a me dà fastidio mangiare nel casino delle grida di bimbi che corrono tra i tavoli e anche di quelli che piangono nelle culle. Mi piacciono i ristoranti per soli adulti. Sarò libero di decidere?
Non torno più nei ristoranti che hanno l’ambiente intriso di odore di frittura… mi capitò a Eataly a Roma nel reparto fritture. Altrimenti neanche entro in una friggitoria e se succede, scappo a gambe levate. Non mi piacciono quei ristoranti dove ti offendono per creare qualcosa di divertente. Penso che il ristorante deve farti sentir bene e provare sensazioni buone e inebrianti al palato e al cervello. Tutte le altre “idee” non servono, vanno bene per chi non sa mangiare.
Non trovare una offerta di pani all’altezza è un’altra motivazione per evitare quel ristorante. Evito le trattorie cinesi ed esotiche delle quali non conosco niente sulla cucina e sulla qualità dei prodotti. Sono pochi i ristoranti etnici che propongono una vera cucina del proprio paese. Ce ne sono, ma si contano su poche dita di una mano.
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