“Baglioni si schiera coi migranti, la direttrice di Rai Uno lo liquida: mai più all’Ariston se ci sono io”.
Il titolo della Stampa lo dà per certo, ma poi si capisce che si tratta di indiscrezioni. Non è che lei, Teresa De Santis, lo abbia detto in un’intervista o in una conferenza stampa. Sembra invece che si sia lamentata con i suoi collaboratori e che qualcuno di loro abbia fatto filtrare la sfuriata.
Ammettendo però che sia vero, si tratterebbe di un caso esemplare di uso politico della Rai. Politico nel senso peggiore del termine. Nel senso di lottizzato. De Santis, infatti, è ritenuta unanimemente “in quota Lega”, e quindi il suo ostracismo nei confronti di Baglioni si spiegherebbe così: un atto d’ossequio nei confronti di Matteo Salvini. Dopo che il cantautore romano ha attaccato senza mezzi termini l’irrigidimento sulla vicenda Sea Watch, affermando che “non si può pensare di risolvere questo problema evitando lo sbarco di 40-50 persone, siamo alla farsa”. E dopo che il leader leghista ha risposto via Twitter con un sarcastico “Canta che ti passa, lascia che di sicurezza, immigrazione e terrorismo si occupi chi ha il diritto e il dovere di farlo”.
E già il tweet è di per sé sballato. Perché un conto è occuparsi di questi temi in chiave operativa – compiti che evidentemente sono appannaggio esclusivo dei professionisti – e altro è esprimere un proprio parere individuale, sia pure da personaggi pubblici.
Non condividere le posizioni di Baglioni è più che legittimo. Intimargli di tacere è una follia. E figuriamoci “licenziarlo” perché ha detto qualcosa di sgradito a uno dei due partiti di governo. La Rai non è l’Inquisizione, o quantomeno non dovrebbe, e il giudizio su chi ci lavora deve essere esclusivamente professionale, tanto più se si tratta di uno show come il Festival di Sanremo.
Certo: l’utilizzo della televisione per veicolare messaggi di natura politica, dietro le apparenze “neutrali” delle fiction o degli altri programmi di intrattenimento, è un dato di fatto. Una prassi generale il cui potere di orientamento, e di manipolazione, non va né sottovalutato né tantomeno ignorato. Ma lì si tratta di scelte editoriali, che per quanto discutibili rientrano tra le prerogative di chi produce quello che viene messo in onda.
Pretendere dai collaboratori l’assenso alle idee del padrone di turno, o in subordine il silenzio, è invece un’ingerenza inaccettabile. Il problema non è ciò che viene detto a titolo personale. Il problema è l’istupidimento collettivo rispetto a certe tematiche, ivi inclusa la fanfaluca dell’accoglienza “obbligatoria” dei migranti.
Se davvero si ha voglia di provare a invertire la tendenza, si cominci a fare qualcosa per alzare il livello della capacità critica degli spettatori.
La tirata di Baglioni pro-migranti è una quisquilia, rispetto a tutto il resto. E il resto è la dannosità intrinseca dei programmi-baraccone, che sono stupidi in quanto tali. Stupidi – per rimanere sul Festival di Sanremo – nel gigantismo di cartapesta, negli eccessi di lustrini, nell’enfasi posticcia per i “superospiti”.
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