Regionali. Nel Lazio comanda FdI (e il Centrodestra), Pd costretto al “Campo largo”
Il Centrosinistra guida ininterrottamente la regione Lazio da quasi 10 anni, e tra qualche mese si andrà al voto
Il Centrodestra si prende il Lazio. La netta vittoria su scala nazionale di Fratelli d’Italia, a cui si affiancano Lega e Forza Italia, non poteva non avere riflessi sulla regione che il centrosinistra guida ininterrotamente da quasi 10 anni e che tra qualche mese andrà al voto. I dati del Senato, dove si è votato su base regionale, parlano chiaro.
Quando mancano 4 sezioni da scrutinare FdI, Lega, FI e Noi Moderati hanno messo insieme il 44,91% (poco più di 1,2 milioni di voti) contro il 26,12% della lista Democratici e Progressisti guidata dal Pd, il 14,75% del M5S e l‘8,54% del Terzo Polo. Cinque anni fa, alle regionali la coalizione guidata da Nicola Zingaretti riuscì nel bis (pur non avendo la maggioranza in aula) malgrado la contemporanea scoppola che il Pd prese alle politiche dal 5 Stelle e dal centrodestra.
Ci riuscì per tre motivi: la capacità di tenere unito il campo progressista-civico (che al tempo non aveva visto ancora nascere Azione né Italia Viva), l’effetto traino della figura del governatore (che prese più voti della somma di quelli conseguiti dalla sua colazione), il centrodestra spacato da due candidature presidenziali (Stefano Parisi e Sergio Pirozzi).
Al contrario, stavolta, l’incapacità delle forze alternative al centrodestra di costruire un fronte unico ha contribuito in modo decisivo alla loro sconfitta su base nazionale e conseguentemente anche nel Lazio. Dove su 36 deputati e 18 senatori eleggibili, il centrodestra ha fatto il pieno vincendo tutti i collegi uninominali (tranne 2) tra Camera e Senato e lasciando agli sconfitti poco più di 10 parlamentari.
Un quadro che offre alla coalizione trainata da FdI un importante vantaggio in vista delle prossime elezioni regionali, che si terranno nei primi mesi del 2023, tra gennaio e febbraio. Anche se il leader della Lega, Matteo Salvini, punta a un accorpamento della tornata di regionali (oltre al Lazio dovranno votare anche Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Molise) prevista a marzo con quella delle comunali ad aprile.
Tuttavia, per vedere il Lazio andare alle urne praticamente a scadenza naturale e insieme alle altre regioni tutto sarà nelle mani di Nicola Zingaretti.
Quando il governatore, neo eletto alla Camera dei Deputati, sarà proclamato eletto avrà due mesi di tempo per scegliere tra la sua nuova carica a Montecitorio e quella di governatore. Optando per la prima diventerà incompatibile come presidente di Regione e quindi dovrà dimettersi. Dal giorno delle sue dimissioni decorreranno i 90 giorni (durante i quali le redini della Regione passeranno nelle mani del suo vice Daniele Leodori) entro i quali bisognerà votare.
Il che significa che per portare il Lazio alle urne a marzo Zingaretti dovrebbe dimettersi a dicembre (la proclamazione a deputato dovrebbe avvenire a ottobre). Insomma, una circostanza che per verificarsi ha bisogno di un consenso di tutte le forze politiche che siedono alla Pisana. Il centrodestra, che aspetta di riprendere il comando della Regione dal 2012 (quando si dimise la giunta guidata da Renata Polverini), ha il vento in poppa ma il destino per il centrosinistra è tutt’altro che segnato.
La speranza per uno storico tris risiede in due parole e una formula tanto ripetuta quanto inattuata su scala nazionale: campo largo o (nella sua definizione aggiornata) Modello Lazio, cioé l’alleanza Pd-Progressisti, M5S, Azione e Italia Viva fortemente voluta da Nicola Zingaretti e che dalla primavera 2021 amministra il Lazio con un’ampia maggioranza. La stessa che, secondo il segretario regionale dem, Bruno Astorre, potrebbe conseguire alle prossime elezioni basandosi sui dati usciti dal Senato.
Astorre, in procinto di essere rieletto a Palazzo Madama, ha pubblicato un post su Facebook dove ha sommato i voti presi dalla lista Democratici e Progressisti (26,13%) con quelli del M5S (17,74%) e di Azione-Italia Viva (8,54%): “Modello Lazio 49,41%, Centrodestra 44,90%. Uniti si può vincere”, con un margine di oltre 100mila voti potenziali sugli avversari. Insomma, il messaggio ai naviganti è chiaro. Tanto a M5S e Terzo Polo, che hanno dimostrato di avere politiche divergenti (almeno su scala nazionale) su diversi punti (ad esempio i rifiuti), quanto al Pd, che dovrà sapere tenere insieme il tutto.
Va detto che molto difficilmente alle regionali l’affluenza alle urne sarà simile al 64,3% registrata ieri al Senato. Più probabilmente, visto che il voto sarà “autonomo”, quel dato andrà rivisto decisamente al ribasso, forse addirittura sotto al 50%, e non potrà non incidere sull’esito della consultazione. I numeri saranno conseguenza non solo delle coalizioni ma anche dei nomi dei candidati.
Il centrosinistra ha stoppato la discussione che si era aperta (e che aveva portato a più di qualche frizione interna) tra primarie sì-primarie no per concentrarsi sul voto delle politiche. Si ripartirà dal “Manifesto” che stavano redigendo tutte le forze appartenenti al “Modello Lazio”, tranne Azione che ha deciso di restare fuori dal tavolo di coalizione in attesa di capire quale sarebbe stato il candidato espresso da Pd-5S-IV, e dai due candidati (fin qui) alle (mai convocate ufficialmente) primarie: Daniele Leodori e l’assessore alla sanità, Alessio D’Amato.
Il primo, in un recente appuntamento elettorale, si è detto sicuro che “saremo in condizione di riproporre la maggioranza che ora governa il Lazio con soddisfazione dei cittadini”. Leodori ha gestito negli ultimi 3 anni i file più importanti della Regione (Pnrr, Fondi Europei, Bilancio), gode della stima di tutte le componenti della maggioranza e (come detto) governerà il Lazio nei 90 giorni che divideranno le dimissioni di Zingaretti dal voto.
Proprio il governatore di recente ha nuovamente sottolineato la necessità di una figura unitaria per la sua successione, ribadendo implicitamente il no alle primarie. Passando al centrodestra, salvo clamorosi colpi di scena, sarà Fratelli d’Italia ad esprimere la candidatura. Non solo perchè in Sicilia ha lasciato questa facoltà a Forza Italia ma soprattutto perché i rapporti di forza rendono inevitabile questa scelta.
Il partito di Giorgia Meloni ha raccolto oltre il 31% dei consensi, cinque volte tanto sia rispetto alla Lega che a Forza Italia (entrambe intorno al 6% ciascuno). Circolano i nomi dei giornalisti Nicola Porro e Gennaro Sangiuliano e soprattutto quello del manager e presidente dell’Istituto del Credito Sportivo, Andrea Abodi, nel caso non ricevesse incarichi ministeriali o di sottogoverno.
Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha chiesto pubblicamente che entro la prossima settimana venga trovato il nome del candidato. Anche per evitare un bis della cocente sconfitta a Roma. In questo caso però il sistema elettorale è diverso e per certi versi molto simile a quello nazionale: il turno è unico e chi si aggrega di più vince. Un’occasione per il centrosinistra per dimostrare di avere compreso la “lezione” del 25 settembre, una chance storica per il centrodestra di tornare al governo del Lazio dopo 10 anni di assenza. Uno in meno rispetto a Palazzo Chigi. (Mtr/ Dire)