Regno Unito: la May resiste e su Brexit si accettano scommesse
Il Regno Unito è cambiato: si è incattivito per i tagli e per l’austerità dei Conservatori
Chi vi scrive ha appena ricevuto una email dalla compagnia dei Treni Britannici che paradossalmente regala offerte last minute per viaggi a basso costo oltre Manica: Parigi, Bruxelles e altre capitali europee, le più gettonate. Segno del destino? Non c’è da illudersi: Theresa May rimane una morta che cammina e il suo un Governo di Zombie. Dopo la debacle del suo sofferto deal coi negoziatori europei, e nonostante abbia appena superato la mozione di sfiducia proposta dai Laburisti (grazie all’aiuto di quegli stessi compagni di Partito che solo ieri avevano affossato la sua bozza di accordo brindando poi a champagne a porte chiuse), Theresa May è un Premier debole e senza stoffa per trattare un ostacolo duro come la Brexit. To be or not to be. Brexit sì o Brexit no, questo è il problema.
Due anni e mezzo fa il 51,5 % dei Britannici ha votato per Brexit
Tra questi, i veri ricchi e i benestanti Conservatori, Brexiteers della hard Brexit (fautori dell’uscita senza accordo e dal ricorso alle regole del WTO) che rappresentano da sempre l’elettore britannico snob, spocchioso, con la puzza sotto al naso e la foto dell’Impero Britannico dei tempi gloriosi della Regina Vittoria; sono quelli che nutrono il puro sentimento indipendentista isolano antieuropeista e che sognano il riporto di Trump insieme alle acconciature choc della Regina.
In aggiunta a quelli, hanno barrato la casella pro Brexit, i veri poveri, gli accattoni delle aree del Nord inglese barricati con 85 sterline a settimana di sussidio dentro casette squallide, fredde e grigie – questi così lontani e diversi dai primi; perché, ahimè, negli ultimi anni questo Paese si è davvero impoverito. Nelle scuole pubbliche – che offrono ancora tablet Apple agli studenti – inizia a mancare la carta delle fotocopie.
Il Regno Unito è cambiato: si è incattivito per i tagli e per l’austerità dei Conservatori
Dopo anni di benessere e vacche grasse pagati a caro prezzo con l’aumento vertiginoso del debito pubblico dei Governi Labour, poco prima che la crisi economica mondiale del 2008 spezzasse le redini alla classe media, il Regno Unito si è incattivito a causa dei tagli e dell’austerità dei Conservatori. Morale: l’ Europa è stata usata come capro espiatorio. Colpa dell’Europa se i tempi delle liste di attesa degli Ospedali sono raddoppiate o se le tariffe dei treni sono aumentate come pure i livelli di povertà infantile e il numero dei senza tetto…Ed è pure colpa dei lavoratori europei che si sono semplicemente trasferiti nel Regno Unito per sfruttare occasioni che i locali non hanno voluto o saputo cogliere. Dal cameriere all’Ingegnere elettronico al Medico Specialista. Senza rubare nulla, anzi, arricchendo il Paese, a danno per esempio dell’Italia, mollata due a zero per tanti motivi. Ma è stato così, il fumo negli occhi ha annebbiato al popolo bue la vista nella cabina elettorale. Vallo a spiegare che i tagli continueranno pure dopo l’uscita…
Chi ha votato per la Brexit si è pentito
Oggi, dinanzi all’evidenza della realtà e delle bugie dei Brexiteers, alcuni di quelli che hanno votato per la Brexit – ne conosco vari – si sono pentiti; la sterlina è crollata del 15% (e siamo solo all’inizio) e giorno dopo giorno aumentano le file per accaparrarsi un passaporto europeo. Eppure gli stessi sono pronti ad accettare le conseguenze del disastro imminente di un no-deal (uscita senza accordo) – perché – lo ricordo se necessario – gli inglesi sono testardi e non pecoroni e, pur quando cambia il vento, al proprio orgoglio ci tengono, nonostante tutto. E continuano a curare la lavanda in giardino pur sotto le bombe della Luftwaff.
To be or not to be. Brexit sì o Brexit no, questo è il problema
La Brexit è un sogno che viene da lontano. Frutto del peccato del precedente Premier Conservatore David Cameron colui che presentò il referendum al popolo (bue e non) per sfiammare gli sfizi dell’ala oltranzista del suo partito contro l’ Europa. Cameron – a favore del Remain – era convinto di vincere. Invece rimediò una sonora sconfitta e senza prevedere le conseguenze dell’uscita si è poi ritirato a vita privata. Dà letture e appare in convegni sul suo fallimento guadagnando sterline a palate. Theresa May – unica a raccogliere lo scettro di Downing Street – a sua volta ha avuto (tra le tante) la colpa di far scoccare troppo presto il cronomentro dell’uscita smanazzando l’articolo 50 dei Trattati all’imminente 29 Marzo 2019 – solo per accontentare (ancora una volta) la stessa ala destra del suo Partito che aveva reclamato il referendum da Cameron. Theresa May – che con Cameron si era battuta per restare in Europa, dopo il voto era convinta di poter raggiungere un accordo comodo e facile con l’Europa; bleffando – ma senza carte in mano e senza soldi in tasca.
Da par suo, tanto di cappello in questo caso all’Europa, mai come durante le trattative sull’uscita dal Regno Unito si è rivelata unita e tutta di un pezzo. E a Bruxelles scuotono la testa sul cammino del Regno Unito verso il precipizio.
Un Oscar come miglior attore non protagonista va al laburista Jeremy Corbyn
Dulcis in fundo, un Oscar come miglior attore non protagonista va di merito a Corbyn. Questo vecchio radicale segretario Laburista fautore di nazionalizzazioni di treni e ospedali ( pur avendo ragione a proporre cambi nella sanità, nei trasporti o nelle scuole) ha prima richiesto e poi inevitabilmente perso la mozione di sfiducia al Governo perché la matematica non è un’opinione. Dopo la sconfitta della May nel voto sull’accordo con i negoziatori europei, Corbyn avrebbe dovuto sospirare parole dolci a Theresa May: “Hey baby ascoltami, senti anche le mie proposte sulla Brexit, sul mercato comune, sul confine con l’Irlanda, perché, muro contro muro, senza i miei voti, in Parlamento non andrai da nessuna parte!”
Niente di tutto questo. Anche Corbyn si è fatto risucchiare nel marasma della cieca follia e invece di giocare d’intelligenza e d’astuzia – ha battuto i pugni sul tavolo come un bimbo impazzito di rabbia a cui avevano appena tolto la marmellata: voleva nuove elezioni. Non avrà nemmeno un pugno di mosche, fa troppo freddo pure per quelle.
Fino a quando i Britannici non si siederanno al tavolo per cercare in primis un compromesso tra di loro, e poi con l’Europa, non ci sarà soluzione. Questa Brexit è ormai uno spettacolo macchiato da comparsate di primedonne più indecoroso ancora dei misfatti di una Prima, Seconda, Terza o financo Quarta Repubblica. A metà strada tra una tragedia e una farsa, di cui nemmeno Alfred Hitchcock saprebbe scrivere il finale.
To be or not to be. Brexit sì o Brexit no, questo è il problema!