Tutti sappiamo che la Legge del Signore era composta di 631 precetti e Gesù, per le folle e i discepoli di sempre, li ha voluti raggruppare in alcuni punti a cui riferirsi. Infatti, il Maestro non è venuto ad abolire la Legge ma a “compiere” e darne un ulteriore significato (Mt. 5, 17-37). Siamo invitati ad ascoltare e a far scendere nell’interiorità della nostra vita le parole del Signore. La novità di Gesù consiste nel portare i suoi discepoli a un modo nuovo di leggere e meditare la parola di Dio, che deve diventare vita muovendo da dentro, affinché sia presenza vitale di Dio nella vita degli uomini. Soprattutto essa elimini l’ipocrisia e la falsità, atteggiamenti condannati da Gesù, come leggiamo nel capitolo 23 del vangelo di Matteo.
Per Israele i comandamenti erano ciò che di più caro aveva, cioè la volontà di Dio di incidere nel cuore la sua volontà. Gesù presenta un atteggiamento di fondo e offre almeno tre indicazioni, partendo proprio da quella radice antica e portandola verso il suo frutto più completo.
Si parte dal cuore, da una giustizia che deve superare quella degli scribi e dei farisei (v. 20). Come a dire che la Legge, il suo adempimento, non sono il “fine”, ma l’utile “mezzo”. Gesù non disprezza ciò che c’è, ma neppure si ferma a ciò che si vede. Il Maestro invita a superare questo atteggiamento che sterilizza e rende infeconda la vita di fede, la quale o è animata da un amore che vede oltre, oppure non è vita credente.
E’ il comandamento base quello di avere un cuore che si plasma, s’ingrandisce, pulsa, irrora amore come quello di Gesù stesso. L’unità di misura della Legge è la vita stessa che il Cristo le infonde, non perché la cambia, ma perché la “compie”, le dà senso e pienezza, riassume tutto nel suo modo di parlare, guarire, insegnare, perdonare, amare. La vita del cristiano non è l’esperienza di chi accumula per sé, di chi vuol avere ragione, di chi vanta diritti perché ha fatto il suo dovere, ma la vita della persona che supera la giustizia umana e si la scia condurre all’accoglienza di quella divina.
Gesù chiede di sostare su tre mancanze gravi che non vanno assolutizzate, né da chi le ha compiute, né da chi se ne è tenuto a distanza: l’omicidio (vv. 21-26), l’adulterio (vv. 27-32), il giuramento (vv. 33-37). Ebbene, Gesù dimostra come la giustizia di Dio, espressa nel comandamento, lo porti alla sua pienezza: non si uccida per nessun motivo, ma neppure ci si adiri, si offenda e si parli male degli altri; non si tradisca, ma neppure si guardi o si desideri un uomo o una donna di un altro nel proprio cuore; e neppure si giuri sul Signore o sulla propria vita, perché anche questa rimane un dono e non un possedimento da gestire senza regole.
C’è un “di più” che Gesù chiede al credente, il quale può compierlo solamente se, nella fede, accoglie il modello amorevole del Maestro. Diversamente, ciò che Gesù dice fa sorridere e può scatenare persino reazioni di rifiuto. Gesù non chiede di essere arroccati sulle posizioni personali, ma neppure invita a compiere solamente ciò che capiamo. Gesù chiede di avere un cuore aperto, che sa tentare strade nuove, da lui inaugurate. Essere “più giusti”, non adirarsi col proprio fratello, non pensare neppure a un’altra donna che non sia la propria moglie o a un uomo che non sia il proprio marito, non giurare inutilmente e parlare in modo coerente sono proposte di taglio veramente alto.
Gesù insegna che c’è un “surplus” di amore che va oltre le regole, non perché le trasgredisca, ma perché le vive con estrema dedizione. Ci sono i comandamenti, e questi rimangono per sempre. C’è una parola che non passa, ma c’è anche modo e modo per attuarla. Se ciascuno tenta di vivere e interiorizzare i comandamenti sull’esempio del Maestro, imbocca la strada della santità. I consigli di Gesù non ci rendono “più buoni”, ma più santi. E “santo” significa “differente”. Se mettiamo in pratica il Vangelo, o almeno se ci sforziamo di farlo, diventiamo un po’ più “originali”. E, nell’apatia quotidiana, squarciamo il grigiore che invita a vivere mediocremente. Chi ama fa grandi cose. I comandamenti di Dio indicano che c’è un modo originale di vivere la vita.
Il brano evangelico termina con un invito di Gesù perché il nostro parlare sia “sì,sì,no,no” (v. 37): il “di più” non viene da Dio. Dio vuole per noi una vita autentica, senza sbavature. E tutte le parole del Vangelo di oggi invitano a una vita bella, secondo il cuore di Dio, secondo al sua Parola che fa crescere e impedisce di rimanere al punto di partenza o al minimo sindacale. I comandamenti, antichi e nuovi, ci regalano il “come” vivere il rispetto della vita, la bellezza dell’amore, l’affidamento a Dio, sogni di un Padre che, per insegnarci ad amare, ha mandato il suo Figlio sulla terra a predicare, guarire e perdonare, a condividere la nostra vita quotidiana.
Le nostra forze e i nostri occhi vanno concentrati sul modo divino di amare. Il nostro “sì” alla vita prende forza dalla stessa vita di Dio. Questo è il motivo del sentirci amati da Dio e per far circolare, nelle vene della storia familiare, ecclesiale e civile la Grazia di colui che continuamente ci accompagna. C’è bisogno di mettere al centro l’amore fraterno, di scegliere di voler bene: l’amore è il comandamento che scaturisce da Dio. C’è da amare. Punto e basta. Semplicemente perché amati e perché l’amore merita tutto. Tutto va orientato all’amore. Si sacrifica tutto per un amore più grande. E a questo Amore ci si affida, senza bisogno di giurare e di invocare cose e persone che abbiano un’autorità maggiore dell’amore del Padre.
Bibliografia consultata: D’Agostino, 2020.
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