Religione, Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto
di Il capocordata
“La sera di quel giorno…mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei” (20, 19). La paura dei discepoli sembra sottolineare che l’annuncio di Maria di Magdala non ha cambiato la loro situazione dopo la morte di Gesù, nonostante la fede iniziale del discepolo amato. Le porte sbarrate sono il segno di una chiusura dei discepoli a lasciarsi provocare dalla pietra tolta dal sepolcro, dalle bende per terra, dal sudario, che era stato posto sul volto di Gesù, avvolto in un luogo a parte e, soprattutto, alla fede, almeno iniziale, del discepolo amato e dall’annuncio di Maria di Magdala: “ho visto il Signore!” (20, 18).
“…venne Gesù, stette in mezzo e disse loro” (v. 19). Nel discorso di addio, nell’ultima cena, Gesù aveva promesso che non avrebbe lasciato orfani i suoi discepoli “perché io vivo e voi vivrete”. Ciò che ora accade non soltanto compie in una forma iniziale per questi discepoli la promessa di Gesù, ma anche anticipa il compimento futuro della venuta finale di Gesù per tutti coloro che diverranno discepoli. I termini “venire” e “stare” esprimono la manifestazione del Risorto nei racconti pasquali. Questo secondo verbo indica la posizione eretta in contrapposizione al giacere della morte. Il suo derivato, “alzarsi, sorgere” è uno dei termini tradizionali per esprimere l’evento della risurrezione.
“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso” (v. 26). Nel quarto vangelo Tommaso è ricordato in quattro contesti: in tre di essi egli prende la parola; nel nostro caso, da incredulo diventa credente e riconosce la signoria e la divinità di Gesù. Tommaso compare la prima volta nel contesto della risurrezione di Lazzaro e l’evangelista precisa che è chiamato “Didimo”, che letteralmente significa “gemello”, “doppio”, ma forse ha anche un valore simbolico che allude alla doppia personificazione che Tommaso rappresenta: il dubbio e la fede. Infatti, la sua fede non ha certamente una progressione lineare: da una parte vuole condividere lo stesso destino di Gesù (11, 16), in seguito ammette di non conoscere né la via né la meta verso cui Gesù è diretto (14, 5). Inoltre, nel nostro brano, Tommaso è assente nella prima apparizione pasquale di Gesù (20, 24). Il testo tace sul motivo della sua assenza; tuttavia, essa si presta, quanto meno, ad essere interpretata come una presa di distanza da Gesù e dalla sua causa.
Di fronte all’annuncio degli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!” (v. 25), egli dice loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non crederò” (v. 25). Non si tratta di un dubbio che nasce come reazione immediata di fronte all’annuncio degli altri discepoli, ma di un dubbio che viene più da lontano e che tuttavia comincia a fare qualche passo avanti: infatti, otto giorni dopo Tommaso si farà trovare con gli altri discepoli (v. 26).
Le condizioni poste da Tommaso sono certamente criticabili perché sottovalutano il valore fondamentale dell’annuncio mediante la parola e la testimonianza a vantaggio della visione dei segni: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete proprio?” (4, 48). Gesù non cede alle condizioni poste da Tommaso. Infatti, Gesù lo sorprende mostrando di conoscere perfettamente le condizioni da lui poste: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (v. 27).
Nell’apparizione di Gesù la parola predomina sulla visione, così che Tommaso arriva alla fede, ma in un modo differente rispetto alle condizioni da lui poste. Egli riconosce non solo che Gesù è il “Signore” (v. 20), ma anche lo proclama suo “Dio” (v. 28). E giunge a questa confessione di fede, che è il vertice di tutto il quarto vangelo, in risposta alla parola di Gesù. Il lettore è invitato a identificarsi con Tommaso. Attraverso il cammino di fede di Tommaso, il cristiano può scoprire i tre elementi essenziali di ogni cammino di fede: la testimonianza, la parola e la visione. Tutto ciò che il discepolo di Gesù può vedere è mediato, ormai per sempre, dalla visione dei testimoni oculari: Tommaso e gli altri apostoli. Infatti, Gesù dice a Tommaso: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (v. 29).
Questa beatitudine sulle labbra del Signore risorto allude alla fede di chi crede senza vedere, sulla base della testimonianza dei vangeli, come conferma l’evangelista al termine del suo vangelo: “questi segni sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (v. 31). I segni compiuti da Gesù, accompagnati dalla sua parola che li interpreta, sono contemplati alla luce dell’evento pasquale. Attraverso la fede dei testimoni oculari, il cristiano di oggi partecipa alla “visione di fede” dei primi discepoli. Non si può giungere al vedere della fede senza l’ascolto, fondato sulla testimonianza, che è il passaggio indispensabile per accedere alla fede. Chi è capace di godere di tale testimonianza può riconoscersi in coloro che Gesù risorto proclama “beati”, poiché possiede “l’icona verbale di Cristo” per fondare la propria fede.
Bibliografia consultata: Nason, 2017.