Questo famoso brano del vangelo di Matteo (18, 21-35) ci propone come tema la grandezza del perdono. Esso è l’ultima parte del discorso di Gesù sulla Chiesa, con la parabola esclusivamente di Matteo del re misericordioso e del servo malvagio. E’ sempre Pietro che introduce a questo tema con la sua domanda al Maestro: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” (v. 21). La domanda mostra un atteggiamento di Pietro di per sé già generoso, perché nella simbologia biblica il numero sette indica la pienezza. Gesù, però, con il racconto della parabola che segue, pone l’accento non tanto su una possibile disposizione umana al perdono del fratello, ma sull’infinita e paradossale grandezza della misericordia di Dio, che diventa fonte e modello dell’amore umano.
Ancora una volta Gesù, partendo dalla domanda concreta del suo interlocutore, ci conduce al piano superiore, quello dell’esperienza di Dio: la parabola che egli racconta non risponde semplicemente e direttamente al quesito di Pietro, ma presenta la grandezza della misericordia divina. Proprio dalla sorgente dell’amore misericordioso di Dio scaturisce la natura stessa del perdono, che è pertanto illimitato e infinito.
“Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi” (v. 23). L’immagine scelta dal Signore, quella del re che chiama i suoi sudditi per una sorta di resoconto, è comune nella letteratura giudaica, ma alcuni dettagli rendono il racconto di Gesù originale: il debito che il servo deve al suo padrone è esagerato, diecimila talenti sono una cifra che mai sarebbe stata colmata nemmeno da un’intera esistenza di lavoro. Nonostante il debito spropositato, il re decide di condonare al suo servo il dovuto: “Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito” (v. 27). Il verbo qui utilizzato, “ebbe compassione”, ha sempre come soggetto solo Gesù, per cui la compassione di questo padrone rispecchia la misericordia che Dio, attraverso il suo Figlio, usa con l’uomo. Tale compassione viene più volte ricordata nel testo evangelico e in particolare è rivolta alle folle o verso situazioni di particolare sofferenza fisica e morale.
Il perdono fraterno come stile di vita
“Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello” (v. 35). Il culmine del racconto è in questa affermazione, dove Gesù ci consegna il senso della parabola: come il Signore accorda a ciascuno il suo perdono, così anche i discepoli di Gesù devono perdonare sempre al fratello. Il rimando al testo della preghiera del “Padre nostro” pare evidente: nella domanda di “rimettere i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, si chiede il dono grande di imparare a perdonare come il Padre che è nei cieli, che costantemente usa misericordia verso la nostra povera esistenza.
D’altra parte l’esperienza umana del perdono fraterno ci porta a saper accogliere con pienezza e fecondità quello donato dal Signore. Le due realtà dunque sono strettamente in sinergia e complementari l’una all’altra. Infatti, l’unico ostacolo posto all’infinito amore misericordioso di Dio è proprio il libero rifiuto dell’uomo.
Il testo di Matteo allora non diventa una semplice risposta in merito alla capacità di perdono, ma presenta, attraverso la domanda iniziale di Pietro e la risposta di Gesù, la condizione costante a cui è chiamato ogni singolo cristiano: imparare a perdonare sempre, come il Padre che è nei cieli perdona ogni nostro errore e fragilità. Allora l’amore misericordioso verso il prossimo non diventa un mero compito da svolgere una volta tanto, ma nel perdono e nella prossimità diventa uno stile di vita che determina la nostra identità di discepoli del Signore.
Perdonare gratuitamente “settanta volte sette” (v. 22), come dire, a dismisura, è la via indicata da Gesù per realizzare la pienezza della persona umana: ciò implica, dapprima, la capacità di riconoscere e accogliere l’amore che ci viene donato e, poi, l’attitudine a riversare negli altri questo stesso amore. Il perdono cristiano è certamente un obiettivo difficile; l’esortazione al perdono aspira ad una umanità capace di stemperare il diritto e la giustizia nella rete della compassione amorevole. Non si tratta di un obiettivo ovvio e, meno ancora, radicato nelle coscienze. Un atteggiamento, largamente diffuso anche oggi, è di grande ostacolo alla dimensione del perdono: si tratta di guardare alla vita in maniera “egocentrica”, egoistica; gli altri sono una presenza spesso evanescente, se non addirittura disturbante.
Perdonare di cuore è difficilissimo. Nello sforzo di educare noi stessi a sentimenti di misericordia e compassione a cuore aperto, ci è di aiuto la fede, il credere che proprio questo è il comportamento del Padre e di Gesù stesso nei confronti di tutti noi peccatori. Dio non toglie mai fiducia all’uomo, qualsiasi cosa abbia commesso e non guarda al passato, bensì sospinge verso il futuro. Dal modo di agire di Dio, rinasce in noi l’energia per riacquistare fiducia negli altri che ci hanno deluso o ferito. Non è questione di banalizzare il male ricevuto, ma piuttosto di farsene carico, pregando e perdonando.
Bibliografia consultata: Corini, 2017; Pinkus, 2017.
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