La reazione degli uditori all’insegnamento di Gesù sull’eucaristia (Gv. 6, 60-69), “la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere”, presenta un’obiezione fondamentale: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (v. 60). Il discorso sacramentale di Gesù è definito “duro”: essi l’hanno inteso bene, ma non possono “ascoltare”, cioè comprendere e ubbidire a una simile rivelazione. L’aggettivo “duro” può indicare sia la difficoltà di venire capito, in quanto esprime “cose inaudite”, e sia una “durezza” contro cui si urta e ci si fa male, il che produce una reazione di ribellione come davanti a un’offesa.
Se teniamo presente soprattutto il discorso sacramentale dobbiamo confessare che è vero: questi discepoli sono “scandalizzati” (v. 61), cioè, secondo l’etimologia della parola “scandalo”, urtano contro una pietra d’inciampo. “Scandalo” era detto qualsiasi impedimento che, posto sulla strada, faceva inciampare e cadere. Qui indica l’ostacolo che impedisce ai discepoli di “continuare a credere” in Gesù. Essi continuano a “mormorare”, e in tal modo si comportano come il popolo di Israele che mormorava nel deserto e i Giudei nei dialoghi con Gesù delle sezioni precedenti.
“Molti dei discepoli di Gesù…mormoravano riguardo a questo” (vv. 60-61). Coloro che “mormorano” sono proprio i suoi discepoli. Questo vocabolo è il più antico per indicare i seguaci immediati e costanti di Gesù: la denominazione “i Dodici”, più collegiale e ristretta, ne è una precisazione ulteriore. Questo gruppo ampio di discepoli va dunque distinto dal gruppo dei Dodici. L’evangelista intende mostrare che la rivelazione di Gesù di Nazaret è stata rifiutata non solo dalla “folla” incostante e dai “giudei”, ma persino dai suoi discepoli storici. Significa che la resistenza a credere non potrà essere superata se non quando l’itinerario del Figlio dell’uomo sarà compiuto con la morte-risurrezione.
Gesù, sapendo in sé stesso che i suoi discepoli mormoravano a proposito “della sua carne da mangiare e del suo sangue da bere”, risponde allo scandalo chiedendo loro: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” (v. 62).
Lo scandalo sarà rafforzato o rimosso quando il Figlio dell’uomo salirà al cielo? Se si pensa al “salire” sulla croce (la crocifissione), allora lo scandalo è aumentato, arrivando al paradosso radicale della croce; se si pensa invece al “salire” della risurrezione-ascensione, allora lo scandalo viene risolto. Gesù può salire laddove si trovava già prima; egli dà la chiave di interpretazione del suo discorso parlando dello Spirito che dona la vita: “E’ lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla; le mie parole sono spirito e vita “ (v. 63).
Le parole di Gesù “sono Spirito” in quanto sono “di Dio” e come tali donano la vita piena, finale, divina. Secondo la tradizione biblica la “carne” designa la condizione terrestre dell’uomo nella sua precarietà. Solo il soffio di Dio dà consistenza al suo essere e fa emergere senso, altrimenti non si arriva a cogliere il messaggio di vita, “vivificante”. Lo Spirito fa intendere il mistero dell’eucaristia come mangiare la sua carne e bere il suo sangue. L’evangelista mostra che non si riceve realmente la vita data nel corpo di Cristo se, mediante lo Spirito, non si percepisce “chi” egli sia. Le parole di Gesù sono “Spirito di vita”, perché lo Spirito è vita. L’identificazione qui affermata, tra ciò che Gesù ha detto e lo Spirito vivificante, è di ordine dinamico: le sue parole che vengono dall’alto, producono la vita nel senso pieno.
A questo punto “molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?” (vv. 66-67). Qui avviene la divisione e tale distacco è presentato come definitivo. Questa crisi galilaica rappresenta, per anticipazione, l’abbandono di Gesù da parte di un gran numero dei suoi, al momento della sua passione. Nell’itinerario del Nazareno, questo discorso rappresenta il momento della scelta fondamentale, non reversibile, pro o contro Gesù. Attorno a Gesù che parlava si fa progressivamente il vuoto. Resta solo con coloro che qui, per la prima volta, sono chiamati i “Dodici”, i più intimi, ponendo una domanda chiave: “Volete andarvene anche voi?” (v. 67).
Di fronte a questa crisi bisogna decidersi. In contrapposizione ai discepoli che l’hanno abbandonato, con la confessione positiva di Pietro, i Dodici si impegnano senza riserve e senza esitazione: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (vv. 68-69). Pietro fa eco a ciò che Gesù ha appena rivelato: le sue parole sono “vita eterna”. In questa risposta c’è tutto il contenuto del discorso, giudicato inammissibile dai discepoli che hanno abbandonato il Maestro e che Pietro accetta senza riserve, come portavoce dei Dodici.
Lungo il discorso “sulla sua carne da mangiare e il suo sangue da bere”, gli interventi degli uditori non erano rivolti a Gesù: erano delle mormorazioni fatte in disparte, sia nel caso dei giudei, sia in quello dei discepoli. Ora Pietro dice “tu sei”, con il pronome soggetto in grande rilievo. In lui si esprime il vero interlocutore di Gesù e per la prima volta si stabilisce il dialogo, il Rivelatore riceve una risposta diretta da Pietro: “Tu hai…Tu sei”.
Prima o poi arriva il momento in cui dobbiamo decidere se seguire il Signore o andarcene, se accettare le sue parole, anche quando sono dure ed esigenti. Egli non fa proprio nulla per addolcire la pillola, per rendere più agevole il percorso. Proprio quando molti tornano indietro e non vanno più con lui, Egli ci interpella in modo diretto, senza preamboli, e ci costringe a prendere posizione. E l’Eucaristia è l’ostacolo (lo scandalo) principale da assimilare ed elaborare.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Laurita, 2021.
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