Il vangelo di Luca è stato definito da molti studiosi della Scrittura come il “vangelo della misericordia” poiché dedica ampio spazio all’accoglienza che Gesù ha costantemente riservato ai “lontani”, a coloro che per i più svariati motivi non potevano ritenersi in piena comunione con Dio. La celebre pagina evangelica (Lc. 15, 1-32) di questa domenica nutre e conferma tale prospettiva, consentendo di penetrare per alcuni istanti nel cuore e nella mente di Dio, che può essere perciò definito un padre dal cuore di madre.
“Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Ed egli disse loro questa parabola” (vv. 1-3). L’evangelista Luca ci tiene a sottolineare che tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a Gesù per ascoltarlo: la conversione comincia proprio dall’ascolto della parola di Gesù, prima ancora che da qualsiasi sforzo da parte dell’uomo.
Altrove identificati con gli esattori delle tasse, assumono un valore simbolico: sono coloro che, a motivo dell’attaccamento al denaro e ai beni materiali, non solo sono lontani da Dio, ma soprattutto dai loro simili, nei confronti dei quali spesso hanno agito da prevaricatori. I “peccatori”, categoria più ampia, sono invece coloro che, per i più disparati motivi, si sono allontanati da Dio.
L’atteggiamento benevolo riservato da costoro verso Gesù altro non è che la risposta spontanea alla benevolenza che il Maestro doveva aver mostrato a sua volta nei loro confronti, accogliendoli e mangiando con loro, suscitando le critiche da parte degli scribi e dei farisei. Eppure Gesù, come appare altrove nel vangelo, non aveva disdegnato di condividere la mensa anche con i farisei e gli scribi. Anch’essi, tuttavia, assumono qui un significato simbolico: difensori della tradizione religiosa più pura, sono talmente sicuri di sé e della propria giustizia da ritenere di non aver bisogno della grazia di Dio.
Se i peccatori si avvicinano, i farisei e gli scribi “mormorano”, esprimendo così il loro dissenso nei confronti del Maestro. Oggetto della critica è l’accoglienza che Gesù riserva ai peccatori, che si concretizza anzitutto nella condivisione della mensa, sinonimo di ascolto reciproco e di intima comunione. Gesù risponde alla mormorazione degli scribi e dei farisei con una serie di parabole incentrate sul tema della misericordia e della gioia che Dio prova per i peccatori perduti e ritrovati: la pecora smarrita, la moneta perduta, il padre misericordioso o il figliol prodigo.
La maggioranza degli esegeti suddivide la parabola del Padre misericordioso in tre parti: la partenza del figlio minore, il ritorno e l’accoglienza del padre, la reazione del figlio maggiore e la supplica del padre.
Il racconto si apre con la richiesta del più giovane, che esige dal padre la parte del patrimonio che gli spetta. Il padre non oppone nessuna resistenza e spartisce tra i due figli i propri beni. Il padre non fa nulla per trattenere il figlio minore e non va a cercarlo quando questi va in un paese lontano. Ciò non significa però che il padre rimanga insensibile alle scelte del giovane figlio, come conferma il fatto che ogni giorno lo aspetta, scrutando l’orizzonte in attesa del suo ritorno (v. 20). Il figlio minore, raccolte le sue cose, parte per un paese lontano, dove sperpera tutti i suoi beni vivendo in modo dissoluto. Una grande carestia costringe il giovane a mettersi al servizio di un pagano, che lo manda a pascolare i porci.
Una volta toccato il fondo, il giovane rientra in se stesso, che è poi il primo passo per tornare al padre e, di conseguenza, a Dio. Ritornare in sé, convertirsi, significa prendere coscienza della distanza che si viene a creare tra noi e Dio quando utilizziamo impropriamente la nostra libertà, convinti di poter fare a meno di lui. “Si alzò e tornò da suo padre” (v. 20): il verbo “alzarsi”, nel vangelo, è il termine della risurrezione. Difatti, ogni conversione è già di per se stessa una risurrezione dalla situazione di morte in cui il peccatore fa inesorabilmente scivolare l’umanità.
“Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (v. 20): la sua reazione è a dir poco sorprendente. La sua “compassione” esprime l’amore viscerale di una madre nei confronti del frutto del proprio grembo. Le azioni che seguono esprimono tutto l’amore di cui questo straordinario padre è capace: gli corre incontro, gli si getta al collo, lo bacia e quasi gli impedisce di dire “non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (v. 21). Ordina ai servi di portare la veste più bella, di infilargli l’anello al dito e i sandali ai piedi e di uccidere il vitello grasso per imbandire un banchetto festoso. Nessun rimprovero, nessuna rivendicazione, solo l’immensa gioia provocata dal ritorno tanto atteso di quel figlio che “era morto, ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (v. 24).
Anziché condividere la gioia del padre, reagisce con irritazione e disprezzo. Il suo rapporto con il padre è segnato dal dovere più che dall’affetto. Eppure il padre esce per supplicarlo, mostrando così tutto il suo affetto e la sua attenzione anche nei suoi confronti e gli dice: “bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Bibliografia consultata: Gennari, 2019.
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