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Religione, “Dare la vita per i propri amici”

Il testo di oggi (Gv. 15, 9-17) focalizza la nostra attenzione sull’amore. Per otto volte, infatti, troviamo la terminologia dell’amore e per due volte ritorna il comandamento di Gesù, introdotto per la prima volta dopo la lavanda dei piedi e designato dal Signore come il segno distintivo dei suoi discepoli di fronte al mondo. Precedentemente Gesù aveva qualificato il suo comandamento come “nuovo”, senza aggiungervi alcuna spiegazione. In che cosa consiste la novità del comandamento di Gesù?

La novità è la persona stessa di Gesù: la sua incarnazione, il suo porsi in ginocchio di fronte ai suoi discepoli per lavare loro i piedi, l’offerta della sua vita in un cammino di svuotamento progressivo che culmina nella croce. In lui l’ampiezza, la profondità e la sorprendente novità della vita di Dio si è fatta incontro, comunicazione: nell’incontro con lui i discepoli hanno potuto intuire l’amore che lo lega al Padre e allo Spirito. “Rimanete nel mio amore”: rimanere in Gesù è accogliere e lasciarsi accogliere dalla sua Parola, dimorare in essa, osservarla per scoprire la profondità del suo amore. L’esperienza di essere amati da Dio non rinchiude però il discepolo in se stesso, ma lo sospinge verso l’altro. Per questo l’imperativo “rimanete in me” si concretizza nell’unico comandamento: amatevi reciprocamente.

La comunione con Dio e con l’altro

La comunione con Dio si realizza con la comunione con l’altro: l’altro è la misura del mio rapporto con Dio. La certezza di essere in Gesù è data dalla scelta di amare, dalla prassi dell’amore. Per evitare ogni equivoco l’evangelista spiega che l’amore non è possesso, non è amicizia ma è amare senza condizione e senza limiti. E’ un amore fatto di rispetto, servizio, affetto disinteressato che non esige di essere ricambiato; è l’empatia che ci porta a uscire da noi stessi per sentire con l’altro e nell’altro.

Si tratta di una prassi plasmata sull’amore del Cristo che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13, 1). Amare voce del verbo morire, ha scritto qualcuno: uscire da sé, dare senza chiedere, essere discreti al limite del silenzio, soffrire per far cadere le squame dell’egoismo, desiderare la felicità dell’altro, rispettare il suo destino di felicità.

Amare è dunque lasciarsi afferrare dall’immensa dinamica dell’amore trinitario che ci svela nell’altro il prossimo. Divenire prossimo è incontrare Cristo perché egli si è identificato con ciascun essere umano, ma in modo particolare in chi è sofferente, emarginato, ignorato, imprigionato (cfr. Mt. 25). E’ importante ricordare che la comunità dei discepoli è chiamata a essere uno specchio della comunità divina, a essere la dimora di Dio tra gli uomini.

Il percorso dell’amore

L’evangelista Giovanni traccia il percorso dell’amore: l’amore del Padre per il Figlio, l’amore del Cristo per i discepoli, l’amore reciproco fra i credenti. L’uno trova nell’altro la sua sorgente e la sua misura. La relazione del Padre con il Figlio diviene il modello dei rapporti interni ed esterni alla comunità dei credenti. Come la relazione trinitaria è fondata sull’amore, così la comunità dei discepoli è costruita sull’amore. L’amore è la sola legge e il criterio di appartenenza. E’ un amore reso concreto nel “lavarsi i piedi a vicenda”, nel perdono e nell’accoglienza incondizionata. Specchio dell’amore trinitario, l’amore fraterno assume così una duplice dimensione: orizzontale, l’amore del Cristo per noi (la Croce); e verticale, l’amore del Padre per il Figlio (la Trinità). La prima evidenzia la gratuità e l’universalità mentre la seconda la reciprocità e la comunione.

Il brano di questa domenica riprende e prosegue questa intuizione: è focalizzato su Gesù, ma orienta i rapporti comunitari. Descrive un amore “in uscita”, che dalla comunità si dilata come un onda che lambisce l’umanità tutta. Per questo l’esito dell’intimità con Gesù, la ragione dell’essere chiamati è in una partenza: “perché andiate e portiate frutto” (v. 16).

L’amore è gratuito, libero e liberante. Come il Figlio non chiede di essere amato e non lega a sé il discepolo, ma lo spinge verso l’altro affermando che proprio amando il fratello si ama Dio, così l’amore reciproco dei discepoli non chiude la comunità in se stessa, ma la rende missionaria: la spalanca al mondo come il luogo dove l’amore trinitario può continuare a essere sperimentato.

E’ questo amore libero e disinteressato che testimonia la nostra fede. E’ questo amore, che comporta spoliazione e fatica, la prova più sicura del nostro autentico incontro col Risorto. I discepoli sono chiamati a vivere questa realtà nello scorrere dei giorni, avendo cura del loro rapporto con il Signore e cercando tutte quelle occasioni che fanno crescere la giustizia e la solidarietà, la fraternità e la misericordia. La fretta, la paura, i diversi alibi che si possono tirar fuori sono altrettanti nemici della carità. Essa infatti richiede tempo, esige fiducia, impegna ognuno in prima persona, senza scuse.

“Amatevi come io ho amato voi” (v. 12). L’amore di Gesù è stato totale: non ha trattenuto nulla per sé, non si è risparmiato; ha donato tutto, fino in fondo. Ha offerto la sua stessa vita. Ecco, è questo l’amore che Gesù ci chiede gli uni verso gli altri. E’ questo l’amore che ci chiede verso Dio.

Bibliografia consultata: Gatti, 2018; Laurita, 2018.

Redazione

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