Il brano del vangelo di Giovanni (3, 16-18), scelto per la festa della Santissima Trinità, si colloca nel discorso notturno tra Gesù e Nicodemo. Quest’ultimo era un maestro in Israele, fariseo, definito dall’evangelista come “uno dei capi dei giudei”, quindi appartenente al gruppo di coloro che osteggeranno il ministero e la persona di Gesù. Eppure egli supera paure e resistenze e cerca il Signore, vuole incontrarlo. La sua conversione non è ancora piena e convinta: infatti Nicodemo vuole vedere Gesù ma di notte, di nascosto, così che nessuno potesse tacciarlo di essere favorevole alla nuova dottrina del profeta di Nazaret.
Comprendiamo però che qualcosa stava crescendo nel cuore di questo fariseo per il fatto che le sue affermazioni riprendono le parole con cui i discepoli avevano confessato precedentemente, nelle nozze a Cana di Galilea, la loro fede in Gesù. Intanto lo chiama “rabbì”, ammettendo così la sua autorità di maestro (v. 2); ancor più riconosce che il suo insegnamento viene da Dio per le opere da lui compiute. In questo modo Giovanni ci descrive un uomo che, nonostante la sua origine e l’ambiente da cui proviene, dimostra d’essere colto, coraggioso e alla ricerca della verità con cuore sincero. Anche se in questa ricerca egli non è sostenuto dagli altri rappresentanti della fede in Israele, non si scoraggia e prosegue da solo questo cammino, anche con il rischio d’essere riconosciuto come complice di Gesù.
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito…” (v. 16). Il Padre rivela il suo volto misericordioso nel dono del Figlio unigenito, perché il mondo creda e possa redimersi. L’uomo, creato da Dio, nella sua libertà ha peccato e, come i figli di Israele morsi dal veleno dei serpenti nel deserto, rischia di morire nel suo essere ad immagine e somiglianza dell’amore divino. Per questo motivo egli ha bisogno di essere salvato da questo morso mortale del maligno ed essere riscattato. Il dono del Figlio di Dio fonda questa salvezza per coloro che credono in lui, senza escludere alcuno, ma nella condizione fondamentale della conversione nella fede.
E il dono di Gesù all’umanità non è per la condanna, “ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (v. 17). Si tratta di una salvezza universale, estesa ad ogni essere umano. Dio creatore e padre non può che desiderare la salvezza dei suoi figli e solo la libertà dell’uomo può precludere questo dono redentivo. Dinanzi al dono d’amore di Dio nel Figlio Gesù occorre scegliere se lasciarsi illuminare dalla luce della sua salvezza, o rimanere nelle tenebre della propria autosufficienza. La benedizione, la vita e quindi la salvezza si ottengono soltanto attraverso l’amore di Cristo e in lui l’uomo è salvato dalla schiavitù del peccato.
“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato” (v. 18). Il giudizio corrisponde alle conseguenze che, nell’oggi dell’umanità, si realizzano alla luce delle scelte intraprese dall’uomo stesso nelle decisioni quotidiane. La scelta di convertirsi e di credere nel Figlio di Dio apre alla salvezza e alla sua luce d’amore misericordioso, al contrario il rifiuto di questo dono porta a rimanere nell’oscurità del proprio peccato, sino all’estremo della disperazione. Ora in questa realtà l’esperienza della Trinità di Dio non si limita ad un freddo trattato teologico, a volte apparentemente lontano dal vissuto concreto, ma si incarna nel tessuto più reale della vita: Dio si presenta come colui che si interessa dell’uomo, che lo ama, che ha cuore la sua salvezza e la sua felicità. Questo prendersi cura supera ogni umana aspettativa e arriva al dono di sé, dove la logica del giudizio è superata e compiuta da quella dell’amore misericordioso che perdona e salva.
Per questo motivo il Signore ricorda a Nicodemo come egli non sia venuto nel mondo per giudicare e condannare, ma perché attraverso il dono di sé il mondo possa salvarsi. L’uomo che rifiuta la salvezza che scaturisce dalla fonte di questo amore si condanna alla maledizione e alla morte, in quanto perde la sua identità di uomo creato ad immagine e somiglianza dell’amore di Dio; chi invece si affida e si converte alla persona di Gesù, al suo amore misericordioso, giunge alla salvezza, alla vita, perché nella salvezza operata da Cristo l’uomo trova il compimento della sua felicità.
Se anche noi, come Nicodemo, vogliamo cercare sinceramente la verità e conoscere chi è Dio per noi, quale sia la sua proposta per colmare la nostra esistenza, non abbiamo bisogno di discorsi complicati, di formule teologiche astratte, di idee preconcette; abbiamo bisogno di sentirci figli amati, di sperimentare la tenerezza del Padre verso di noi e verso i fratelli e sorelle, di riconoscere che Dio cammina in mezzo a noi, con me, si è sporcato le mani, che ha donato il suo Figlio e lo Spirito Santo, che non ha trattenuto nulla per sé, ma si è dato tutto. Oggi celebrare la Trinità significa ricordarci di questo Dio e dei suoi doni, per scoprirlo ogni giorno e non voler più fare a meno di lui, così come lui non vuole fare a meno di noi; significa provare e riprovare a corrispondere da figli, o almeno con la consapevolezza di essere amati, a questa eterna storia d’amore che egli ha iniziato con ciascuno di noi.
Bibliografia consultata:Corini, 2017; Ghersi, 2017.
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