L’evangelista Matteo ha costruito questa scena di annunciazione (Mt. 1, 18-24) con svariati riferimenti a episodi dell’Antico Testamento. Secondo alcuni studiosi sarebbe esistito uno schema uniforme di annunciazione di nascita a cui Matteo si sarebbe ispirato. In realtà le cose sembrano più complesse perché l’evangelista in questa occasione mescola alcuni elementi tipici degli annunci di nascita con scene di vocazione e di mandato (missione).
Giuseppe, il protagonista di questa scena, si trova a un crocevia decisivo dove, per risolvere la questione che gli si pone davanti, non sarà sufficiente che egli sia “giusto” (v. 19). Non abbiamo la certezza di quale significato preciso l’evangelista attribuisse a questo aggettivo “giusto”: se cioè si riferisse alla correttezza morale della persona o alla sua stretta osservanza della legge del Signore. Nel primo caso dovremmo pensare che abbia intenzione di agire secondo la sua retta coscienza, nel secondo che abbia optato per una leggera trasgressione a motivo della certezza dell’innocenza della sua promessa sposa, Maria. La soluzione escogitata gli sarà parsa il male minore e l’azione segreta avrebbe tutelato la riservatezza del caso. Ma a toglierlo da questo imbarazzo provvede la luce che proviene da una rivelazione divina.
Giuseppe riceve un messaggio divino in sogno, proprio come l’omonimo figlio del patriarca Giacobbe, il quale era conosciuto quale “uomo dei sogni”. Nell’apparizione notturna dell’angelo (v. 20) Giuseppe riceve la spiegazione di ciò che mai avrebbe potuto comprendere da solo. Matteo preferisce gli angeli interpreti che aiutano a comprendere i misteri di Dio, rispetto alle visioni criptiche (simboliche) da decifrare.
Il compito degli angeli è solo quello di riferire messaggi da parte di Dio e poi l’autorità del destinatario fa tutto il resto. Ma quello inviato a Giuseppe doveva avere un talento particolare per le finezze della lingua perché per rivolgersi a lui non trova di meglio che ricordargli di essere “figlio di Davide” (v. 20). L’angelo, quindi, si attende da Giuseppe una risposta degna del suo lignaggio e del suo essere discendente di un uomo che era noto per la sua giustizia e per la sua clemenza, anche verso le donne (1 Sam. 24 e 25). Potrà questo degno discendente prendere decisioni che offendano l’onore di Maria?
Nel messaggio dell’angelo c’è anche qualcosa che va oltre la soluzione dei rovelli di Giuseppe ed è la rivelazione dell’identità di questo figlio: “il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (v. 20). Giuseppe riceve questa informazione direttamente dall’angelo: come la confessione di fede di Pietro, ispirata dal Padre celeste, e come Paolo quando ammette che non avrebbe mai davvero conosciuto il Figlio di Dio se questi non si fosse compiaciuto di rivelarglielo.
Inoltre, il figlio che nascerà da Maria, “tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (v. 21). Gesù viene descritto come “salvatore”, ma di natura spirituale. E la possibilità di rimettere i peccati era riconosciuta a Dio soltanto. Siamo di fronte a una affermazione cristologica assai elevata nelle parole dell’angelo. La grandezza di Gesù viene ulteriormente enfatizzata se consideriamo che il “suo” popolo indica qui il popolo che appartiene a Gesù stesso e non a Dio. E’ lecito desumere, quindi, che Gesù qui tiene il posto stesso di Dio e assolve a funzioni che gli sono proprie.
L’”Emmanuele” è colui che incarna tutti gli interventi salvifici di Dio nella storia ed è la manifestazione visibile del suo essere con noi. Per alcuni, però, Gesù è il segno presenza di Dio Padre in mezzo al suo popolo; per altri, invece, il Risorto che assicura la sua presenza a fianco dei discepoli fino alla fine del mondo, suggerendo che l’ “essere con noi” della divinità è da attribuirsi a Gesù stesso, il che implica l’azione divina che protegge, salva, benedice, infonde forza.
Il brano si conclude con l’esplicita attestazione della completa obbedienza di Giuseppe a quanto l’angelo gli aveva richiesto: “Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (v. 24). Forse è possibile leggere in maniera simbolica questo passaggio dal dormiveglia all’azione come immagine dell’uomo che, guidato dalla grazia, viene chiamato a collaborare all’iniziativa divina e non deve tardare a mettere in pratica ciò che gli è stato domandato per non ostacolare il piano di salvezza di Dio. Prendendo con sé Maria, accoglierà la sua sposa in un modo diverso rispetto a quello che aveva immaginato quando l’aveva conosciuta. Rispettando la sua integrità fisica si accosterà al mistero di Dio. E imponendo al figlio il nome compirà un atto giuridico con cui si attribuisce quella paternità che non ha per natura. Alla fine, per vie diverse, avrà molto di più di quanto aveva desiderato.
Dio si rivela nel sogno e parla al cuore di Giuseppe. Gli chiede di prendere con sé la donna e il bambino, di fare da padre a quest’ultimo: col cuore, con l’intelligenza, con il suo lavoro. Si fa un gran torto col chiamarlo “padre putativo”: se Giuseppe non interviene nel concepimento di Gesù, la sua tuttavia è una paternità esercitata con tutte le sue risorse, un accompagnamento concreto, affettuoso, fedele di un bambino verso la giovinezza e l’età adulta. Grazie, Signore, per san Giuseppe e per tutti i giusti come lui pronti a lanciarsi per le strade del Regno, donando se stessi, senza domandare garanzie.
Bibliografia consultata: Carrega, 2019; Laurita, 2019.
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