Una volta entrato a Gerusalemme, dove celebrerà la sua ultima Pasqua, Gesù si confronta per un’ultima volta con i suoi avversari, mettendoli tutti a tacere con l’autorevolezza dei suoi insegnamenti. Il brano di domenica (Lc. 20, 27-38) descrive l’incontro con i sadducei, i quali sfidano Gesù sulla risurrezione dai morti.
I Sadducei appartenevano all’aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme e detenevano di fatto il controllo e la gestione del tempio in qualità di sacerdoti legittimi, discendenti di Sadoq, sacerdote al tempo del re Davide. Essi godevano di scarsa stima da parte del popolo, perché amici di Roma. Dal punto di vista religioso erano dei conservatori: non accettavano la Tradizione orale, limitandosi all’osservanza letterale delle sole norme contenute nel Pentateuco (i primi cinque libri dell’A.T.). Poiché in quei libri non si parla di risurrezione dai morti, essi di fatto la rifiutavano; inoltre, coloro che la accettavano ne davano una interpretazione materialista, come se si trattasse di una semplice riproduzione della vita terrena, ma in cielo: anche per questo motivo la negavano.
Luca riferisce che alcuni sadducei si avvicinarono a Gesù con l’intento di metterlo alla prova. Appellandosi alla legge del levirato (Dt. 5, 5-10), secondo la quale una vedova avrebbe dovuto sposare i fratelli del marito morto e i figli nati sarebbero stati riconosciuti come figli del defunto primo marito, i sadducei pongono un quesito ridicolo: dopo aver sposato sette fratelli morti uno dopo l’altro senza avere figli e dopo essere morta, la vedova nella risurrezione di chi sarà moglie?
Gesù afferma che nel mondo presente il matrimonio è necessario per la sopravvivenza della specie umana, ma non lo sarà quando l’uomo vivrà per l’eternità presso Dio. Gesù dunque sottolinea la diversità qualitativa esistente tra la vita dell’uomo sulla terra e la vita dopo la risurrezione, quando la persona entrerà in una relazione piena e definitiva di comunione con Dio: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio" (vv. 34-36).
Il Maestro intende ribadire una incomparabilità tra la vita dell’uomo sulla terra e la vita dei risorti, in cui non ci sarà più bisogno né di matrimonio né di procreazione, perché uomini e donne “non possono più morire”. Da queste parole di Gesù emerge un’immagine del matrimonio e della sessualità estremamente significativa: l’unione sessuale non serve tanto a darsi un futuro attraverso la procreazione, quanto a trasmettere la vita; è la maniera dell’uomo mortale di gridare alla morte che la vita è più forte. Ma nel mondo futuro gli uomini non avranno più bisogno di combattere contro la morte, poiché questa sarà stata eliminata da Dio (Is. 25, 8).
Uno dei motivi per cui essi contestavano la dottrina relativa alla risurrezione è perché a detta loro essa non compare nella Legge (Torah). Gesù invece mostra che anche la Torah presuppone la fede nella risurrezione. Citando Es. 3, 6, il Maestro ricorda ai suoi interlocutori che rivolgendosi a Mosè, quindi parecchio tempo dopo la morte dei patriarchi, Dio si presenta come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, un Dio che per di più ha assunto l’iniziativa gratuita di impegnarsi per la realizzazione di un progetto di salvezza che non può tollerare la morte. Se questi patriarchi sono vissuti per Dio durante la loro esistenza terrena, vivranno per Dio anche dopo la morte, perché l’amore di Dio, più forte della morte, non può tollerare che le creature fatte a sua immagine e somiglianza vengano distrutte per sempre dalla corruzione del sepolcro.
In un libro apocrifo (non riconosciuto) dei Maccabei si affermava che i martiri, che hanno versato il loro sangue in nome della fede, “vivono per Dio come Abramo, Isacco e Giacobbe”, a significare che ogni uomo che ha dedicato la propria vita a Dio, come hanno fatto i patriarchi, riceverà da Dio la risurrezione, perché Dio non può abbandonare in potere della morte chi ha dato la vita per lui.
Riflettiamo insieme: di fronte al radicale non senso della morte, a questo dramma della morte che ci appare sempre assurda e senza senso, che sapore assume l’idea della risurrezione? Quanto la fede riesce a trasformare in positivo ciò che toglie dalla morte e dal non senso e riscalda con l’amore, è illusione o seme di risurrezione? Possibile che tutto finisca nel nulla? L’identità di Dio (Io sono) è “esser-ci”, accompagnare l’uomo e la sua storia, amandolo gelosamente. Perciò, come potrebbe la morte strapparci da lui e consegnarci nel nulla? La risurrezione di Gesù è avvenimento di salvezza per lui e quindi per noi. Lo è anche per noi perché la sua vita fu un dono totale a nostro favore, per manifestare l’amore del Padre. La risurrezione conferma la forza di questo amore che vince perfino la morte.
Bibliografia consultata: Gennari, 2019; Piazzi, 2019.
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