Ancora una volta il vangelo di Matteo (13, 24-43) ci conduce in un ambiente agreste, dove campeggia l’immagine del seminatore. Essa serve al Signore per parlare del regno dei cieli e della sua presenza tra gli uomini. La parabola del grano e della zizzania (vv. 24-30), tipica del vangelo di Matteo, introduce la descrizione del Regno: queste parole di Gesù presentano le differenze tra la categoria umana e terrena di regno e quella divina. Questa distinzione non è semplicemente teorica e formale, ma riguarda proprio il senso della vita che si radica nella quotidianità: il regno umano si fonda sul potere, sulla realizzazione individuale ed egoistica di sé, mentre il regno di Dio è radicato nell’amore, nella misericordia, nel dono gratuito della propria vita.
Il nemico semina zizzania
“Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano” (vv. 24-25). Il vangelo descrive il contrasto tra le due realtà (buon grano e zizzania) nell’esperienza del quotidiano. Tutto avviene mentre si dorme: sembra che la corresponsabilità dell’uomo sia esclusa, senza poter intervenire mentre il nemico semina la zizzania. In realtà il testo ci comunica qualcosa di ben più importante: l’uomo non può dominare pienamente la propria vita, non può comprendere tutto, non ha l’intelligenza completa della realtà, perché è una creatura limitata, non perfetta. Come egli non conosce il tempo in cui il Signore ha seminato il buon grano, così durante la notte, biblicamente il momento delle realtà nascoste in cui operano i ladri e i briganti, non ha consapevolezza della zizzania seminata dal nemico.
Di questo personaggio non si conosce nulla, né la provenienza e nemmeno l’identità, si sa solo che agisce nell’oscurità e di nascosto. Come agli inizi della storia della salvezza il serpente compare sulla scena improvvisamente, così anche per il nemico della parabola; di certo è evidente che non è voluto da Dio, perché la sua azione è esattamente contraria a quella del Signore, anzi la ostacola. Da queste poche battute, però, il lettore prende coscienza che l’esperienza cristiana è fatta di prove, che si aggiungono a quelle naturali e che si oppongono al cammino di coloro che seguono il Cristo.
Che il nemico sia da identificare con il Maligno, il diavolo, è lo stesso Gesù a ricordarlo: “…e il nemico che l’ha seminata è il diavolo” (v. 39). Sembra che l’evangelista voglia indicare alcune prove particolari che la comunità a cui scrive sta vivendo, ma al contempo presenta ciò che quotidianamente riguarda la vita di tutti i cristiani chiamati a questa costante lotta contro il male e la persecuzione. Il testo descrive l’opera del nemico, il quale durante la notte ruba il seme buono e getta la zizzania. L’opera originaria del serpente, quella cioè di distorcere la verità della Parola, fa deviare l’uomo dal giusto cammino da essa tracciato. La perdita del senso della vita, della propria identità di creatura amata da Dio, l’allontanamento dal Signore per sottomettersi alla schiavitù del proprio egoismo, tutte queste realtà descrivono l’opera del nemico.
Infatti la presenza del Regno e il suo messaggio di salvezza rischiano sempre di essere mal compresi, addirittura distorti per interessi personali, così che il nemico assume anche il volto di chiunque nella comunità si serve della sua appartenenza al Regno per scopi e finalità personali e che falsa e distorce la buona notizia del Vangelo. Costoro sono gli operatori di iniquità, che preferiscono l’oscurità delle tenebre alla luce del Signore, che agiscono di nascosto per non essere visti e riconosciuti.
Il seminatore conosce il campo
Il campo in cui è seminato il buon seme appartiene al seminatore: egli conosce bene la situazione e non è uno sprovveduto. I suoi servi vorrebbero una soluzione radicale, sradicare la zizzania ed eliminarla, ma questa decisione potrebbe portare al rischio di rimuovere anche il seme buono, perché esso cresce insieme alla zizzania: “lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura” (v. 30). E’ necessario allora pazientare, atteggiamento richiesto anche ai cristiani dinanzi alle prove della vita, e nello stesso tempo bisogna adempiere l’indicazione di Gesù di amare anche i nemici, nel limitare il male subito con la misericordia e il perdono, secondo l’esempio dato dal Signore stesso.
Infine questa parabola di Gesù ci consegna un ultimo elemento importante sul significato del tempo: da una parte questo ha un valore fortemente escatologico (finale) nel ricordare che la presenza della zizzania non è per sempre: essa sarà sradicata e buttata nel fuoco perché venga bruciata, mentre il frutto del seme buono verrà raccolto nel suo magazzino. Dall’altra parte il tempo ci ricorda che il grano e la zizzania sono chiamati a crescere insieme, nella speranza misericordiosa che il seme buono possa portare sempre e comunque frutti di amore.
La parabola del grano e della zizzania ci presenta l’esperienza stessa della vita, in modo particolare del cammino cristiano: essa si presenta con una presenza di bene e di male, di prove e di testimonianza, non però finalizzate a se stesse, ma nella certezza che il seminatore conosce la realtà e a lui appartiene il campo dove ha seminato il suo grano. Egli non mancherà, alla fine dei tempi, di separare il bene dal male e solo a lui spetta quest’opera di giustizia, perché non tutto può essere pienamente comprensibile all’esistenza e alla ragione umana. Al Signore è affidato il compito di adempiere ogni giustizia, all’uomo di perseverare nell’amore e nel dono della misericordia dinanzi al male, alla persecuzione, al rischio di essere sviato dall’autentico messaggio evangelico della gratuità e del dono.
Bibliografia consultata: Corini, 2017.
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