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Religione, “Fu detto…Ma io vi dico”

L’evangelista Matteo presenta, inserendola nel “discorso della montagna”, la legge nuova che “porta a compimento” la legge antica. Egli ci dice con forza che il Cristo non è venuto ad abolire la Legge o i profeti, ma a portarli a compimento. La sezione 5, 21-48 è tra le più solenni di tutto il Vangelo. Gesù si serve di sei antitesi per “portare a compimento” la legge antica. Si tratta della grande questione dell’originalità del Vangelo, della posizione assunta da Gesù di fronte all’A.T. Ciascuna delle sei antitesi, come già abbiamo domenica scorsa, è introdotta dalla formula: “avete udito che fu detto…ma io vi dico”.

A questa legge sacra di Mosè, Gesù oppone le proprie affermazioni: nessun profeta avrebbe mai osato parlare così in proprio nome; la sua missione si limitava a trasmettere il messaggio di Dio. Ma ciò che sulle labbra di altri è sacrilegio, diventa per Gesù ministero della sua vocazione messianica. Secondo la profezia del Deuteronomio (18, 15) si attendeva un nuovo Mosè; la profezia si realizza in Gesù. Anzi, in lui, essa viene superata, perché non solo viene portata a compimento, ma Gesù instaura un ordine nuovo che considera decaduta la legge mosaica.

“Fu detto: occhio per occhio e dente per dente” (Mt. 5, 38). La tesi del V.T. riporta la legge del taglione, che ricorre nel contesto della lesione corporea e della falsa testimonianza. La legge vale non per la condotta dell’uomo verso il proprio simile, ma per la sentenza giudiziaria: essa prevedeva che la punizione del colpevole fosse uguale alla mancanza compiuta. Si tratta di un principio arcaico tradizionale che ricorre anche in altri antichi codici di legge (Hammurabi). Esso sostituì la legge della vendetta di sangue, impedendo così una punizione ancora peggiore. Il primo moto istintivo di chi è oltraggiato è di “vendicarsi”, cioè di restituire il torto in misura maggiore. La legge del taglione limita questa vendetta alla equivalenza. Non sappiamo in quale misura la legge del taglione venisse applicata nella prassi giuridica del tempo di Gesù, perché pare che la parte lesa potesse rivendicare, a suo piacimento, con un compenso in denaro.

“Ma io vi dico: non resistere al malvagio” (Mt. 5, 39). Nella risposta di Gesù ritroviamo anzitutto il superamento della mentalità giuridica, e invita a rinunciare alla violenza colui che ha subito una violenza esterna. La rinuncia a resistere deve essere praticata nei confronti di chi ha usato violenza. In che cosa consiste la logica della richiesta?  Per prima cosa essa impedisce la progressione della violenza, procurando a entrambi i litiganti, nella pausa intervenuta, la possibilità di migliorare i propri rapporti. Essa non intende mettere in cattiva luce l’aggressore, ma indurlo a rinunciare alla violenza e in definitiva a riconciliarsi; e insegna all’aggredito a capovolgere certe normali regole di comportamento.

Lo schiaffo sulla guancia è oltraggioso: quello sulla guancia destra era considerato un insulto particolare. La reazione che si pretende, il porgere la guancia sinistra, è più che un sopportare passivo o paziente. E’ la reazione che sorprende e disarma l’avversario, perché vuole superare la sua malvagità e portare a un pacifico accordo.

Il secondo esempio ci presenta una lite giudiziaria: uno litiga col suo avversario per la tunica, la lunga veste provvista di maniche che veniva portata sul corpo nudo. Al contendente va lasciato anche il mantello. L’intento è quello di superare sempre la malvagità, che si può sperare di vincere solo rinunciando a ciò che è proprio.

Se si considera il contesto complessivo del vangelo, Gesù risulta uno che alla sua parola fa corrispondere il suo esempio: di fronte alla schiaffo del soldato, durante il processo del sinedrio, egli subisce in silenzio. Gesù intende provocare una disposizione alla bontà che non cede nemmeno di fronte alla violenza del malvagio e che è forse in grado di vincere il male con il bene.

“Fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici” (vv.43-44). Nella prospettiva dell’ A.T., la nozione di prossimo era intesa in un senso piuttosto limitato: il prossimo non poteva essere che un israelita; gli “altri” erano esclusi dalla comunità dei “figli del popolo”. Al tempo di Gesù, la nozione di prossimo era stata ristretta a quelli che erano circoncisi: lo straniero che non aveva abbracciato la religione ebraica, continuava  ad essere considerato come un pagano da non amare. L’odio dei nemici si spiega con la storia del popolo eletto, specialmente durante il periodo durissimo dell’insediamento in Canaan. La storia di duemila anni di cristianesimo ci rivela che l’odio può invadere anche l’anima dei cristiani. Tuttavia Gesù ha di mira soprattutto l’insegnamento tradizionale che raccomandava di odiare in particolare coloro che ignoravano o trascuravano la Legge.

L’antitesi è il comando di amare i nemici. L’amore verso i nemici attinge la sua pienezza di contenuto dal fatto di essere l’applicazione dell’amore del prossimo al nemico. Ciò significa che io considero e tratto costui come mio prossimo, amico o fratello. Pregare per lui è soltanto un esempio del nuovo tipo di rapporto da acquisire. Esso dimostra che io modifico realmente dall’interno il mio atteggiamento. La motivazione dell’amore che il discepolo porta ai nemici e che conferisce ad esso il suo carattere specificamente cristiano, è l’appartenenza a Gesù, il volto misericordioso del Padre. Chi è capace di amare i propri nemici si dimostra figlio di Dio. L’imitazione di Dio è motivata dalla sua attività intesa a mantenere la creazione, per cui egli dona a tutti gli uomini i suoi benefici, sole e pioggia, senza far distinzione tra malvagi e buoni, giusti e ingiusti, nemici e amici. L’amore indiviso che non esclude nessuno, fa diventare l’uomo figlio di Dio. E’ chiaro che l’uomo non raggiunge mai la misura di Dio; ma nella limitata misura dell’umano, l’uomo deve essere indiviso nel proprio amore.                                                              

Bibliografia consultata: Deiss, 1974; Gnilka, 1990.

Redazione

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