Religione, Gesù Cristo: Re dell’Universo
di Il capocordata
Il brano (Lc. 23, 35-42) della festa di Cristo Re e Signore dell’universo descrive gli ultimi interminabili istanti della vita di Gesù. Sebbene inchiodato alla croce, tra le sofferenze atroci del supplizio e l’ironia offensiva degli astanti, il Figlio di Dio rimane obbediente fino alla fine.
“(Dopo che ebbero crocifisso Gesù,) il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù…” (v. 35). Dopo l’ostilità mostrata durante la passione, il popolo ora sembra assumere nuovamente una posizione se non proprio favorevole, comunque neutrale. Sembra quasi che l’evangelista inviti i suoi lettori ad associarsi alla contemplazione di questo “spettacolo” che si sta svolgendo dinanzi ai loro occhi, con un atteggiamento di religiosa attenzione: mentre i capi del popolo e i soldati insultano Gesù, come pure “uno dei malfattori appesi alla croce” (v. 39).
I primi a prendersi gioco di Gesù sono i capi del popolo: i leader giudaici invitano Gesù a “salvare se stesso”, “se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”, e dal momento che “ha salvato altri”, alludendo così ai gesti di guarigione e di liberazione compiuti durante il ministero.
I secondi a intervenire sulla scena sono i soldati romani. “Se tu sei il Re dei Giudei”: Luca collega in maniera logica la loro provocazione al titulus crucis (INRI), a cui l’evangelista accenna proprio nel verso successivo (v. 38). Anche i soldati deridevano Gesù: una vera e propria vessazione per il Figlio di Dio agonizzante, che esala l’ultimo respiro abbandonandosi fiduciosamente alle mani di Dio, senza la minima esitazione.
Al v. 39 l’evangelista Luca introduce un elemento nuovo, rispetto a Marco e Matteo, distinguendo il cattivo dal buon ladrone, per usare la terminologia cristiana. La provocazione del cattivo ladrone con parole blasfeme richiama quella dei leader e dei soldati, ma con un sarcasmo più accentuato, come si può dedurre dalla sua negazione ironica : “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. La misura della crudeltà, della cattiveria e del sarcasmo è decisamente colma: persino un comune delinquente si scaglia contro il Figlio di Dio inerme sulla croce. Eppure, è proprio sullo sfondo caratterizzato da queste tinte fosche che Luca colloca la testimonianza luminosa del buon ladrone.
Vogliamo sottolineare, prima di procedere a delineare la figura del buon ladrone, la notevole somiglianza del nostro brano con quello delle tentazioni nel deserto. Anche il diavolo con l’espressione “Se tu sei Figlio di Dio” mira a scardinare radicalmente la sua fiducia in Dio. Dietro l’azione del Sinedrio e di Pilato si può cogliere facilmente la presenza del regista oscuro. La notizia dell’ingresso di Satana in Giuda conferma il suo ritorno previsto dopo le tentazioni nel deserto e che coincide con l’ora della passione. La preghiera di Gesù, “Padre perdona loro…”, esprime la consapevolezza che essi, pur con le loro innegabili responsabilità, sono vittime ignare di un disegno più grande, dalle proporzioni cosmiche.
Gesù però non è arrivato impreparato al confronto finale con Satana grazie alla preghiera sul Monte degli Ulivi, il Figlio di Dio ha ricevuto la forza necessaria per resistere fermamente agli assalti del potere della Tenebra, morendo nell’abbandono fiducioso nelle mani del Padre (v. 46).
La figura del buon ladrone (vv. 40-43)
L’episodio appartiene esclusivamente alla narrazione di Luca. Alle bestemmie del primo malfattore l’evangelista fa corrispondere il rimprovero del secondo: “Non hai alcun timore di Dio…?… egli invece non ha fatto nulla di male” (vv. 40-41). Il buon ladrone invita innanzitutto il compagno ad avere timore di Dio, nell’imminenza della morte; poi, riconosce la giustizia della condanna subita a motivo della loro colpa e la legittimità della pena; afferma inoltre l’innocenza di Gesù e, infine, si rivolge al Figlio di Dio chiamandolo per nome “Gesù”, affidandosi alla sua misericordia nel momento supremo della morte: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (v. 42).
A differenza delle provocazioni blasfeme dei nemici, le parole del buon ladrone lasciano trasparire la consapevolezza dell’inevitabilità della morte e la speranza che dopo la morte Gesù potrà ricordarsi di lui. La risposta di Gesù (“…oggi sarai con me in paradiso” v. 42) è solenne e sorprendente: sia per l’espressione (“In verità ti dico”) e sia perché anticipa la realizzazione della speranza nell’”oggi” stesso della morte. La salvezza promessa da Gesù consiste dunque nell’essere con lui: la vera beatitudine, il paradiso, scaturisce da questa comunione profonda, nella vita come nella morte.
Quell’uomo sapeva di aver commesso tanti sbagli e di aver meritato la condanna degli uomini; eppure, non può fare a meno di costatare l’odio che ti circonda: le derisioni dei capi che hanno realizzato il loro piano, le beffe e il rancore dei soldati e gli insulti di chi è appeso anch’esso a una croce e sta andando incontro alla fine. Nonostante tutto, quell’uomo intuisce che tu non sei un ciarlatano, che il modo in cui stai affrontando le sofferenze inaudite della croce e la barriera di un odio ingiusto rivela un amore più forte, più tenace di qualsiasi cattiveria. E fa l’unica cosa sensata: si affida a te, alla tua bontà, alla tua misericordia, alla tua tenerezza. E tu fai di lui, che innocente non è, il primo cittadino del paradiso.
Bibliografia consultata: Gennari, 2019; Laurita, 2019.
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