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Religione, Gesù Cristo, Re dell’Universo

Il lungo brano del vangelo (Mt. 25, 31-46) che la liturgia presenta nella solennità di Cristo Re dell’Universo riprende il cuore del discorso escatologico (sulla fine della storia) di Gesù ed è tradizionalmente conosciuto come la presentazione delle opere di misericordia corporali, che concretizzano il primato dell’amore di Dio nella vita cristiana. Il contesto nel quale il brano è inserito è quello della scena del giudizio finale al termine della storia. Interessante notare come queste siano le ultime parole di Gesù prima della sua passione, morte e risurrezione. Nel vangelo di Matteo questo discorso assume una rilevanza e un’amplificazione senza paralleli.

Il protagonista di questo brano è la figura del “Figlio dell’uomo” che riprende il personaggio misterioso del testo di Daniele (7, 13), del quale l’evangelista ha già parlato abbondantemente in precedenza: esso è il titolo che Gesù si è attribuito tantissime volte nella sua vita terrena. La differenza sostanziale però con il testo della tradizione ebraica è la coincidenza che emerge tra la persona stessa del Figlio dell’uomo e i piccoli e disagiati da lui ricordati: “qualunque cosa abbiate fatto a uno di questi fratelli più piccoli, l’avete fatta a me” (v. 40).

Il giudizio ultimo sarà sulla capacità di amare

Il giudizio alla fine della nostra vita riguarda tutta l’umanità, divisa nei due gruppi che vengono separati: pecore e capre (v. 32). Al di là delle possibili interpretazioni vogliamo orientare la nostra attenzione al cuore di questo discorso di Gesù: quale sarà l’oggetto del giudizio? Su cosa sarà giudicata la nostra vita? Sulla capacità di amare come Dio ama, sul rendersi strumenti della misericordia del Signore, la forma con la quale egli ci ama. Pertanto l’elenco delle opere di misericordia è una tipologia che deve essere arricchita nella concretezza della vita quotidiana, nella propria esistenza ed esperienza, perché la misericordia di Dio raggiunga tutti coloro che sono segnati dalla sofferenza della vita, definiti da Gesù come i piccoli della storia: gli affamati, gli assetati, gli ignudi, i carcerati, i profughi, gli ammalati, tutte tipologie che indicano le diverse situazioni di indigenza e di bisogno.

Le opere di misericordia ci rimandano prima di tutto a uno stile di vita, a un atteggiamento del cuore, modellato nel proprio essere e vivere secondo l’amore misericordioso di Dio. La Scrittura, proprio nelle sue prime pagine, ci ricorda come l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio e nella prima lettera di Giovanni (1Gv. 4, 7) definisce l’essenza di Dio come amore: pertanto, essere creati a immagine e somiglianza di Dio significa imparare ogni giorno ad amare come egli ama e la forma dell’amore di Dio è proprio la misericordia.

Le opere elencate da Gesù, riportate dall’evangelista, servono a indicarci il giusto cammino dell’amore misericordioso, l’itinerario da compiere nella nostra vita, giorno per giorno, immersi nelle difficoltà quotidiane, ma sostenuti dalla compagnia e dall’aiuto dello Spirito Santo, nel riscoprire nel volto sofferente dell’umanità il volto di Cristo Salvatore, “l’avete fatto a me” (v. 40).

Il brano evangelico di Matteo ci presenta due possibilità, senza compromessi o soluzioni di comodo: da una parte, nel vivere l’amore misericordioso secondo il modello di Gesù-servo si giunge alla pienezza della felicità e della gioia, nel dono della propria vita per amore, secondo l’esempio mirabile dei santi, e si giunge alla piena identità della propria realtà di uomini creati a immagine e somiglianza di Dio. Al contrario, nella ricerca spasmodica e irreale di un benessere puramente terreno, non solo si è impediti nel riconoscere il Cristo presente nei piccoli e sofferenti, ma si smarrisce inesorabilmente anche la propria identità, chiudendoci in un amore egoistico e autoreferenziale, con la conseguenza di non sapere più chi si è, giungendo sino ai limiti della depressione e della disperazione.

La crisi antropologica dell’uomo contemporaneo, alla quale assistiamo disarmati, è fondata proprio su una crisi di identità: l’uomo fatica a definirsi e a comprendersi nella sua complessità, probabilmente perché schiavizzato da una cultura del benessere e dell’economia produttiva che non lasciano spazio alla realizzazione della vocazione fondamentale dell’uomo all’amore misericordioso e oblativo di sé.

Proprio sull’amore per i fratelli e sorelle più bisognosi il Figlio dell’uomo, quando verrà nella sua gloria, giudicherà gli uomini. La logica di Dio è differente da quella nostra: è un Re che serve, e che non giudica “in primis” sul male commesso, ma sull’amore verso di lui, riconosciuto nel fratello povero e bisognoso, e verso il prossimo. Il non aver prestato attenzione a chi è in una situazione di difficoltà e minorità rappresenta il motivo dell’allontanamento da Dio. L’indifferenza, la distanza voluta e cercata dai poveri, è il peccato condannato da Gesù.

La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo. “Certo è che l’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli altri, di chi chiude gli occhi per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi altrui, caratterizza un comportamento umano piuttosto diffuso. Ai nostri giorni esso ha superato decisamente l’ambito individuale per assumere una dimensione globale e produrre il fenomeno della globalizzazione dell’indifferenza” (Papa Francesco).

Bibliografia consultata: Corini, 2017; Massimi, 2017.

Redazione

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