Religione, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto
di Il capocordata
Il racconto delle tentazioni (Lc. 4, 1-13) è il test della potenza divina di Gesù, che conferma la sua identità di Figlio di Dio, più volte affermata dalla narrazione precedente (Lc. 1.2). La sua obbedienza sovrana alla volontà del Padre discende dalla in abitazione in lui dello Spirito di Dio e si rende manifesta nella prova. Secondo la tradizione biblica la fedeltà a Dio emerge nella prova, perché l’oro si prova con il fuoco. Le tentazioni nel deserto rappresentano la prova dell’identità di Gesù, notificata poco prima nella sua genealogia: “Figlio di Dio” (3, 38).
Non è affatto sorprendente che sia lo Spirito a guidarlo nel deserto, luogo della tentazione dove forze avverse vorrebbero frustrare il suo legame di fedeltà con Dio. Investito dello Spirito, Gesù non lotta da solo: come Figlio, agisce in obbedienza a Dio. Mentre nel deserto il popolo di Israele ha messo alla prova il suo Dio pur avendo visto le sue opere, Gesù si rifiuta di farlo: egli sa che non di solo pane vive l’uomo e che bisogna adorare l’unico Dio e non gli altri dei.
“Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane” (v. 3). Il diavolo tentatore riconosce la figliolanza divina di Gesù, ma lo spinge a servirsene a proprio vantaggio come mezzo per l’appagamento dei propri bisogni materiali. Trascorsi i quaranta giorni di digiuno, Gesù ha fame: il tentatore si insinua nella sua coscienza, facendo leva su una reale necessità della sua umanità; tenta di stabilire una divaricazione tra l’umanità e la divinità di Cristo, tra il suo essere figlio dell’uomo e il suo essere Figlio di Dio. Gli prospetta come via d’uscita un uso strumentale della sua divinità e del creato: “Dì a questa pietra che diventi pane” (v. 3).
E’ il meccanismo dell’uomo “religioso” di ogni tempo, tentato di usare Dio per soddisfare il proprio io e le esigenze della propria natura. Gesù risponde che non di “solo” pane vivrà l’uomo (v. 4): laddove il diavolo assolutizza i beni materiali come fonte di vita, Gesù li relativizza. Da solo il pane non è in grado di fargli vivere una vita piena. Inoltre, c’è un modo di consumare il pane senza assolutizzarlo, accogliendolo come un dono di Dio, in cui si sostanzia la relazione filiale con lui. Il pane allora diventa comunione con Dio, non è più “solo” pane.
“Se ti prostrerai in adorazione davanti a me, tutto sarà tuo” (v. 7). Nella seconda tentazione il diavolo vorrebbe insinuare nel cuore di Gesù quel desiderio di possesso del mondo, mostrandogli tutti i regni della terra e gli dice che sono nelle sue (del diavolo) mani e che può darli a chi vuole. Il tentatore lo incalza e lo spinge a non fidarsi di Dio, proponendogli di allearsi con lui per avere potere. La seconda prova è un ulteriore tentativo di calpestare l’identità di Gesù quale Figlio di Dio, destinatario delle promesse dell’Altissimo e suo erede.
Se Cristo accettasse di ricevere la signoria dal tentatore, riconoscerebbe che Dio non ha alcuna signoria e che non sono credibili le sue promesse verso di lui (cfr. 1, 32-33). “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” (v. 8): Gesù ribadisce la sua incondizionata obbedienza all’Unico al quale si deve culto e l’adorazione. A lui solo appartiene la gloria: il regno di Dio può essere instaurato solo al modo di Dio, senza compromissioni con le forze del male, senza l’uso di una forza illecita di un potere totalitario: potere che alla fine eliminerà Gesù, perché si è rifiutato di sottomettervisi, obbedendo solo alla volontà del Padre.
“Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù” (v. 9). L’ultima tentazione, ambientata a Gerusalemme, nel tempio, richiama l’ultima prova di Gesù nella città santa durante la sua passione, quando il diavolo, “al momento fissato”, tornerà per la prova ultimativa. Allora Gesù non si tirerà indietro e affronterà l’abisso della morte. In questa tentazione è il diavolo a citare la sacra Scrittura, facendone un uso fazioso e strumentale. Il tentatore sa che il Giusto troverà rifugio al riparo dell’Altissimo, che Dio è scudo e corazza e non lo potrà colpire la sventura perché i suoi angeli lo custodiranno (cfr. Salmo, 90).
Inoltre, il nemico tentatore prospetta a Gesù la possibilità di una salvezza sensazionale che aggiri la sofferenza. Il suo punto di vista è molto simile a quello di coloro che, sotto la croce, oltraggeranno Gesù, invitandolo a salvare se stesso scendendo dalla croce. Ma Gesù chiude definitivamente la bocca al diavolo, dichiarando di non voler mettere alla prova il Signore suo Dio.
Le tentazioni nel deserto sono l’esempio della grande tentazione di Gesù lungo tutto il corso del suo ministero e soprattutto nel momento ultimativo della passione. Cristo si mostra costantemente Figlio di Dio, rivelando l’intima consonanza della sua volontà umana con quella divina. Si pensi alla drammatica lotta sul monte degli Ulivi (22,39-46). Tutta la sua vicenda, ma anche quella dei discepoli di ogni tempo, è all’insegna della prova. La voce seducente del tentatore cerca costantemente di compromettere la connessione con il Padre: egli è un ingannatore che cerca in ogni modo di farci vivere male la nostra figliolanza divina.
Questa, che è stata la strada di Gesù, è la strada di ogni battezzato, non ci sono scorciatoie. Non si può usare Dio per avere più cose, per avere più potere, per avere quello vogliamo noi. Dio vale più di tutto e la comunione con lui è il pane più desiderabile, Dio va cercato per se stesso, non per quello che può darci in seguito alle nostre richieste, amato come Signore più di qualsiasi altro antagonista.
Bibliografia consultata: Rossi, 2019; Riva, 2019.