Il duplice racconto dell’ascensione (Lc. 24, 46-53; At. 1, 1-11) funge da “cerniera” tra le vicende di Gesù, compimento delle attese messianiche e vertice della storia biblica, e il nuovo tempo della Chiesa. Questo “doppione” attesta l’importanza dell’evento e il desiderio dell’autore di ancorare il libro degli Atti al Vangelo. Luca è l’unico tra gli evangelisti a offrirci una presentazione non solo dell’evento-Cristo, ma anche dell’attività dei suoi primi testimoni, mostrando la connessione e la continuità tra gli eventi e i personaggi della storia della salvezza, quella biblica del V.T. e quella inaugurata dalla Risurrezione di Gesù. L’evangelista Luca riesce a comprovare la solidità del fenomeno cristiano, sia sul versante “cristologico” dell’origine, sia su quello “ecclesiologico” della sua propagazione.
Nella versione del libro degli Atti l’ascensione è ambientata quaranta giorni dopo, rispetto alla cronologia del Vangelo, che sembra collocare l’evento nel medesimo giorno della risurrezione, dove l’ascensione è teologicamente unita alla Pasqua. Nella Bibbia il numero di quaranta scandisce spesso il tempo necessario per assimilare i doni di Dio. Anche la vita nuova scaturita dalla risurrezione di Gesù ha bisogno di un’assimilazione da parte dei discepoli di ieri e di oggi, cioè di un tempo di gestazione, indispensabile perché il dono di Dio venga accolto.
Per accogliere in pienezza questo dono, i discepoli non si possono allontanare da Gerusalemme. Abbandonare Gerusalemme è allontanarsi dal centro della storia della salvezza. E’ lì che si è compiuta la passione, morte e risurrezione di Gesù; lì i discepoli resteranno, come notificato al termine del vangelo, ove si attesta che essi, dopo l’ascensione, tornarono a Gerusalemme e stavano sempre nel tempio, cioè nel cuore della città. Il Risorto lo ha preannunciato ai discepoli prima di ascendere al cielo: sarà “cominciando da Gerusalemme” (Lc. 24, 46) che partirà la corsa della Parola e “verranno predicati la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47).
Al termine del Vangelo e degli Atti Gesù promette il dono dello Spirito Santo che rivestirà di potenza i suoi discepoli per avere la forza di testimoniarlo davanti alle genti tutte. All’inizio degli Atti diventa chiaro che colui che il Padre ha promesso è il Paraclito, il Consolatore: egli è la condizione di possibilità di ogni testimonianza, giacché la forza per essere testimoni viene unicamente da lui. Non si possono fare “le cose di Dio” senza Dio.
Forza dallo Spirito per essere testimoni: Spirito e testimonianza sono dunque realtà indissociabili, l’uno in funzione dell’altra. Ma che cosa si deve testimoniare? Meglio: chi si deve testimoniare? Gesù!
Questa è la posta in gioco nel libro degli Atti: se il Vangelo di Luca si concentra su Gesù Cristo e il suo evento, il libro degli Atti, sempre scritto da Luca, è interamente consacrato alle modalità e ai percorsi della testimonianza, attuati dai primi discepoli. Lo Spirito è dunque il promotore di un annuncio che ha per oggetto la relazione tra Gesù e i suoi discepoli: non è possibile testimoniare “le cose di Dio” senza vivere una relazione con lui. E’ lui stesso che parla e agisce per mezzo di loro: più la loro vita è “cucita” e conforme a quella di Gesù, più essi divengono capaci di testimonianza. Lo Spirito è la forza che rende possibile questo legame, facendo della biografia del testimone un riflesso di quella di Gesù.
La Chiesa, quanto più diventa capace di testimoniare “le cose di Gesù”, tanto più sa farsi testimone di una relazione autentica con lui. Vivendo di lui, sa parlare di lui con competenza e passione, nella consapevolezza che non si testimoniano dei concetti o delle verità astratte, ma una persona; se non si incontra lui, non si può essere testimoni di lui.
L’evangelista Luca, con il suo doppione del racconto dell’ascensione, vuole enfatizzare questo evento perché segna l’inizio del cammino della Chiesa e il presupposto perché si compia la promessa di Gesù e i discepoli divengano suoi testimoni “a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e sino agli estremi confini della terra”. Il filo rosso del libro degli Atti è l’inarrestabile corsa della Parola e il nucleo del racconto è la testimonianza della chiesa. Il libro descriverà il cammino di propagazione del Vangelo, innescato dalla Pentecoste, e l’estensione geografica di tale annuncio.
Il tempo della Chiesa che inizia con l’ingresso di Gesù “nel cielo”, cioè con l’affermazione della sua signoria universale da parte di Dio che lo porta a sé, non sarà un tempo di attesa passiva, ma si contraddistinguerà per la missione di testimonianza a tutte le nazioni. Ora è il tempo di intraprendere la missione affidata dal Risorto: essergli testimoni con la forza dello Spirito sino ai confini della terra.
La festa dell’ascensione del Signore ci invita a non opporre il cielo alla terra, anzi ci impegna a non separarli mai. Che cosa sarebbe una religione che guardasse solo verso il cielo? Mancherebbe di coraggio, sarebbe indifferente alla condizione storica; ciò che sarebbe più grave, esprimerebbe sfiducia o addirittura disprezzo verso la creazione e il suo Creatore. Al contrario, che cosa diventerebbe un’esistenza che si limitasse all’orizzonte del mondo presente? Rischierebbe di esaurirsi nei giochi del potere e del successo, nei conflitti di interesse e nel culto degli idoli di turno: potere, avere e piacere. Il Vangelo conferisce all’esistenza umana il suo più alto significato: la certezza che ogni creatura è nelle mani di Dio e merita rispetto e solidarietà; il senso dell’eminente dignità di ogni persona; la speranza che il nostro destino si compirà in Dio, datore di vita.
Bibliografia consultata: Rossi, 2019; Laurita, 2019.
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