Religione, Gesù guarì molti afflitti da varie malattie
di Il capocordata
L’evangelista Marco continua nella presentazione della “giornata di Cafarnao”, la giornata tipica del ministero pubblico di Gesù (Mc. 1, 29-39). L’inizio del brano viene scandito dall’avverbio “subito”: “Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone” (v. 29). Il termine conferisce alla narrazione un senso di imminenza, quasi di fretta, come se il tempo non bastasse alle opere da compiere. Un’altra caratteristica che colpisce è la scarsità delle parole dette, dei discorsi fatti o riportati. Poche parole per dire a Gesù che la suocera di Pietro è malata; al contrario, i gesti riportati sono molti: dunque, un vangelo di fatti.
Il racconto della guarigione della suocera di Pietro è molto scarno. Dopo essere venuto a sapere della febbre di lei, Gesù le si fa vicino, la prende per mano, la fa alzare. A sua volta l’anziana suocera non si perde in ringraziamenti. Comincia subito a darsi da fare per accogliere gli ospiti: “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva” (v. 31). Questa parte dell’odierno brano evangelico mantiene l’immediatezza della sofferenza umana, pena che l’uomo non sa risolvere, come ci ricorda anche il dolore gridato di Giobbe nella prima lettura. Ma anche mostra, innanzitutto, un ruolo diverso negli amici: quelli di Giobbe in fondo aumentavano il suo tedio con i loro discorsi; questi, invece che rivolgersi alla donna, semplicemente intercedono per lei presso Gesù: “La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei” (v. 30).
Nel farsi vicino di Gesù poi si intravede la presenza risolutrice di quella risposta che Giobbe tanto desidera, ma riceverà solo alla fine e in forma di domanda da parte dell’Onnipotente. Gesù invece senza parole diventa la salute che quella donna desiderava, la nuova energia che lei mette subito a frutto nel servizio. Nel seguito del brano poi, quanto raccontato in dimensione minimale per il caso della suocera di Pietro, assume una misura sempre più estesa.
Dapprima tutta la gente di Cafarnao (“Tutta la città era riunita davanti alla porta” v. 33) si affolla davanti alla porta e riceve ogni tipo di guarigione; poi l’evento si allarga a macchia d’olio e interessa tutta la regione: “e andò per tutta la Galilea” (v. 39). Ma sempre senza ridondanze verbali, anzi limitando le parole allo stretto necessario, per così dire, e vietandole quando produrrebbero una conoscenza vuota di esperienza (il segreto messianico).
Il tutto si compendia in quell’avverbio “altrove”, pronunciato da Gesù: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!” (v. 38). Questa parola diventa come una chiave che aiuta a capire l’impulso che anima e guida il febbrile andare di Gesù. Quasi che la febbre si sia trasferita dalla suocera di Pietro a lui, paradossalmente non lasciandogli modo e tempo di giacere in un letto e riposare. Quasi non ne possa più di guarire.
In questo brano non si fa più menzione della reazione stupita della gente e del diffondersi della fama di Gesù. Anche l’evento della presenza di un così grande taumaturgo sembra rientrare nella routine, nel già visto, in ciò che la gente ormai sente come dovuto: infatti si accalca di fronte a lui, quasi accampando dei diritti alla guarigione, visto che è così a buon prezzo. Ma egli è venuto per tutti e la sua azione continua, anzi mostra una nuova dedizione, nell’espandersi dei tempi e dei luoghi in cui essa si esercita. Gesù accoglie la gente fino a tardi: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole” (v. 32). Non si limita ai soli momenti della liturgia sinagogale. La gente poi lo cerca fin dal primo mattino. Anche lo spazio geografico si espande: Gesù va nei villaggi vicini, allarga la sua azione in tutta la Galilea.
Infine, la preghiera che Gesù fa (“Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava” v. 32) mostra quanto la sua azione sia radicata nel Padre, da lui sia ispirata, e quanto Gesù sia disposto a pagare di persona per portarla a termine, coinvolgendo in essa anche i discepoli: “Andiamocene altrove” (v. 38). In questo modo la novità portata da Gesù cessa di sembrare un fuoco di paglia, si avvia a rappresentare un evento stabile, quasi una tradizione, con cui fare i conti. Anzi, non semplicemente l’impresa di un singolo, ma l’impresa potente di un’intera comunità, la Chiesa.
Prima del sorgere del sole, mentre i discepoli dormono ancora, Gesù è già desto. Si ritira nella solitudine a pregare, alla ricerca di una particolare intimità col Padre. Non si trattava tanto per lui di chiedere grazie, quanto di intrattenersi sulla sua missione con Colui che lo aveva inviato.
Entrando nella casa di Pietro, Gesù rivela il volto compassionevole e misericordioso di Dio. Di fronte alla malattia e alla sofferenza, la potenza della voce cede il passo alla mansuetudine dei gesti: Gesù vede, si accosta, solleva, guarisce. Gesù sente, compatisce e conosce i sospiri di angoscia della donna malata e, senza proferire nessuna parola, con un semplice tocco rivela la sua potenza e autorità. I gesti di Gesù sono un esempio anche per chi oggi è chiamato a sollevare e guarire le sofferenze e il dolore di tanti malati che attendono un segno concreto della misericordia e compassione di Gesù: una vicinanza che può rivelarsi già una guarigione per chi vive nella solitudine e nell’angoscia il dolore e la sofferenza della vita.
Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Baldacci, 2018.