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Religione, Gesù riceve in obbedienza il battesimo di Giovanni

Giovanni Battista proclamava l’imminenza del giudizio finale e quindi la necessità della penitenza o conversione. L’immersione nell’acqua del Giordano in presenza di Giovanni attestava pubblicamente la volontà di purificazione interiore, nell’attesa della venuta del Signore. Giovanni Battista non annuncia precisamente il battesimo cristiano, ma solo il giudizio tremendo che verrà ad effettuare in tutta la sua divina potenza il messia imminente. Nella prossima domenica del Battesimo di Gesù leggeremo il testo di Matteo (3, 13-17): l’evangelista espone successivamente il gesto di Gesù che si accosta al precursore per farsi battezzare; un dialogo tra Giovanni e il Cristo; la teofania (l’apparizione del Padre e dello Spirito santo) durante il battesimo di Gesù.

Gesù viene dalla Galilea (v. 13), ove ha vissuto nell’oscurità sino al momento attuale. Ora egli si reca al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. L’evangelista sottolinea l’intenzione di Gesù perché essa susciterà la protesta del precursore, alla quale seguirà la risposta del Cristo: “…conviene che adempiamo ogni giustizia”(v. 15). Matteo vuole rispondere a talune rimostranze provenienti da tardivi discepoli del Battista: infatti, già il precursore aveva proclamato l’innocenza e la superiorità di Gesù. Inoltre, l’evangelista, anche se con discrezione, annuncia il battesimo cristiano con l’adempiere “ogni giustizia”: l’espressione vuole suggerire la corrispondenza ad un disegno divino. “Adempiere” significa sia “conservare” come pure “completare”: è nel contempo idea di continuità e di superamento. L’adempiersi delle Scritture significa la loro realizzazione ad un piano superiore. La risposta di Gesù riconosce nel battesimo di Giovanni una norma pratica di santità; rito di purificazione preconizzato dall’ultimo e dal più grande dei profeti, il rito giovanneo deve ora essere ripreso ed elevato. Il battesimo d’acqua deve divenire nello stesso tempo battesimo di Spirito, punto di partenza del battesimo cristiano. “Allora glielo permise”: non solo Giovanni protesta la sua indegnità, ma battezzando Gesù, ubbidisce alla sua ingiunzione, sottolineando la superiorità del Cristo, come apparirà anche nel prosieguo della narrazione evangelica.

La teofania

“…Ed egli vide lo Spirito di Dio su di lui. Ed una voce dal cielo che diceva: questi è il mio figlio diletto…” (vv. 16-17). Iddio interviene per mostrare agli uomini, sin d’ora, Gesù portatore dello Spirito, messia, servo del Signore, Figlio diletto del Padre. La rivelazione, ancora sommaria, rivolgendosi ai testimoni della scena vuole stimolare la loro attenzione, destarli a tutto ciò che in seguito contribuirà a chiarire il vero senso della messianicità e della filiazione divina del Cristo. I cieli si aprono, lo Spirito discende, dai cieli viene una voce: con il dono dello Spirito e l’entrata in scena del Figlio di Dio, il regno dei cieli si rende presente sulla terra.

Per colui che si nutre della Scrittura, lo Spirito significa la presenza di Dio stesso che invade in una maniera straordinaria un eletto, riempiendolo di forza, di sapienza, di una superiore pienezza di doni, in vista di una missione eccezionale. Gesù vede discendere su di sé l’influsso e il soccorso onnipotente di Dio, che l’invia ora a proclamare la buona novella e a manifestare i segni della salvezza. Egli riceve ora solennemente la sua missione, la sua investitura messianica.

La voce del Padre, che richiama alla mente i testi di Isaia (42, 1), designa Gesù come il “servo del Signore”, come colui che egli ha scelto con amore, in cui si compiace, e che ha colmato del suo Spirito per portare a tutti gli uomini la buona novella della salvezza. Gesù dovrà essere il messia, ma alla maniera del “servo”. L’insistenza fa convergere l’attenzione sull’affetto, sulla compiacenza che Dio garantisce al suo “servo”, mentre gli affida questo compito: “Questi è il mio figlio diletto”. Da ora in poi, questo titolo di “figlio”, esprime quanto meno una relazione unica di appartenenza e di intimità tra Gesù e Dio suo Padre.

L’episodio del battesimo di Gesù deve intendersi come una scena di investitura o consacrazione messianica. Si tratta di una scena di investitura, ma in essa l’accento preme sulla presenza, intima e possente, di Dio in Gesù per questa missione: Gesù è riempito dello Spirito, è Figlio di Dio ad un titolo privilegiato; nell’opera della salvezza che deve ora intraprendere, è segnato dalla stretta relazione che l’unisce a Dio (allo Spirito e al Padre). Gesù, quale Servo e Figlio di Dio, inizia la sua attività pubblica, introdotto e fortificato da Dio, con l’intento da parte sua di adempiere ogni giustizia. La volontà di Dio, che sta su di lui, torna in particolare ad essere riconoscibile nella necessità di assumere su di sé la sofferenza e la morte.

Il battesimo di Gesù mette in rilievo la solidarietà che Gesù dimostra coi peccatori, collegandola con l’idea del Servo di Dio. Il suo posto non è accanto alla comunità, che si umilia davanti a Dio, ma in mezzo ad essa. Gesù è cosciente di trovarsi nello stesso pericolo e nella stessa lotta e si sente una cosa sola con gli uomini nel popolo di Dio. Non solo soffre per gli uomini, ma vuole soffrire con loro. La sua volontà di morire è improntata alla figura del Servo sofferente di Dio. Adempiendo ogni giustizia, ha ottenuto per tutti la remissione dei peccati. Il Giordano diventa il simbolo dell’acqua battesimale che si riversa in tutto il mondo: il suo battesimo ci anticipa già il battesimo cristiano. Gesù non solo assumerebbe il compito del sofferente Servo di Dio e si renderebbe solidale con tutti i peccatori, ma col battesimo inizia anche il cammino verso la sua morte e la sua risurrezione.                                                                                                                  

Bibliografia consultata: Jacquemin, 1969; Gnilka, 1990.

Redazione

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