“Due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus…” (Lc. 24, 13-35). Lo scopo del vangelo (“resoconto ordinato”) di Luca è quello di condurre il lettore alla stessa esperienza di riconoscimento di Gesù Risorto vissuta dai due discepoli di Emmaus. Il racconto di questa scena, accaduta lungo la via, allude e richiama il racconto di tutto il Vangelo di Luca che la contiene. Questi discepoli conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto (v. 14). Ciò che è accaduto è raccontato due volte e perciò il racconto della scena di Emmaus diventa un racconto di racconti (il Vangelo). Il primo racconto è fatto dai due discepoli, Cleopa e l’altro senza nome, allo sconosciuto che si accosta e cammina con loro: si tratta di Gesù, ma i discepoli non lo riconoscono. Ciò che è accaduto è, in realtà, ciò che è accaduto a Gesù di Nazaret (vv. 18-24). Il secondo racconto è fatto da Gesù, sempre non riconosciuto, ed è lo stesso racconto che è poi la sua storia, interpretata alla luce delle Scritture (vv. 25-27). Vi è infine l’allusione ad un terzo racconto fatto ancora dai due discepoli, dopo il ritorno a Gerusalemme, che ricapitola “ciò che era accaduto lungo la via” (v. 35).
“Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (v. 16). I due discepoli, senza saperlo, raccontano al loro sconosciuto interlocutore la sua propria storia. E’ una storia che essi raccontano come l’hanno sperimentata: una storia di una speranza tramutatasi in delusione. I due viandanti si rivolgono allo sconosciuto e inaspettato compagno di cammino, che sembra ignorare ciò che tutti conoscono, con meraviglia e gli dicono: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?” (v. 18). In realtà tra loro due e lui c’è lo spessore invalicabile della “cecità”: “ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”.
A sua volta, Gesù ridice la propria storia ripercorrendo le Scritture. Alla luce della Parola di Dio, questa storia è la storia del Messia, una storia in cui si rivela la “gloria” di Dio, cioè la sua presenza che si irradia attraverso la sofferenza e l’umiliazione. Ma i discepoli, non riconoscendo ancora Gesù, non possono sapere che egli sta parlando con loro di se stesso. Ritroviamo così, a un altro livello, lo spessore della loro “cecità”: è per essa che Gesù li rimprovera. Ma non si tratta della cecità che nasconde loro la sua identità, ma piuttosto di quella cecità che è la causa dell’altra, precisamente quella che impedisce loro di comprendere le Scritture: “…spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (v. 27).
“Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (v. 29). La narrazione riprende con un gesto di ospitalità. Alla luminosità abbagliante del giorno sta per subentrare, nel modo quasi improvviso con cui avviene in oriente, l’oscurità della notte. Allo scenario della via, in cui tutti diventano compagni di cammino, si sostituisce la scena più intima della casa, della mensa attorno a cui si condivide un pasto fraterno.
“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (v. 30). E’ un gesto familiare, tipico di ogni sedersi a mensa. Ma questa volta si carica di un significato inatteso: diventa il gesto decisivo che fa aprire gli occhi dei discepoli, facendo uscire dall’incognito il misterioso viandante. “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (v. 31). Il senso dell’esperienza vissuta dai due discepoli emerge dal confronto tra ciò che è detto qui e ciò che era stato detto prima, quando lo sconosciuto spiegava loro le Scritture. Da quel momento, tutto ciò che è avvenuto prima viene riletto in modo nuovo. Rileggendo ciò che era accaduto, i discepoli chiamano il semplice pasto fraterno con l’espressione “spezzare il pane”: è l’espressione con cui i primi cristiani indicavano la cena eucaristica celebrata nel giorno del Signore risorto.
Il riconoscimento di Gesù è seguito immediatamente dalla sua sparizione. Riconosciuto, Gesù diventa invisibile. E’ presente, ma non riconosciuto, lungo la strada; viene riconosciuto, ma sembra diventare assente, nella casa di Emmaus: l’assenza del corpo risorto di Gesù evoca un’altra presenza, quella nel segno del pane condiviso dopo aver pronunciato la benedizione per rendere grazie. “Non ardeva forse in noi il nostro cuore…quando ci spiegava le Scritture?” (v. 32): solo in questo modo la Scrittura si illumina dei significati più profondi che essa contiene. La Parola di Dio è capace di commuovere il cuore, di renderlo sensibile e ardente. Anche nella scena di Emmaus è presente un capovolgimento, una conversione del cuore espressa simbolicamente dal percorso in senso inverso da Emmaus a Gerusalemme compiuto dai due discepoli: “partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” (v. 33).
“Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via” (v. 35). Il ritorno a Gerusalemme è metafora emblematica della conversione dello sguardo del cuore. La Parola trasmessa, accolta e condivisa in una comunità di fratelli ha il potere di riscaldare e trasformare il cuore, suscitando la missione di esserne i testimoni. Allora, come per i due sulla strada verso Emmaus, il cuore che arde, infiammato dalla Parola, può diventare l’esperienza di ogni uomo e di ogni donna che cerca di dare un senso al proprio cammino e in questa ricerca giunge ad un incontro reale con colui che è il Vivente.
Bibliografia consultata: Nason, 2017.
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