Il testo proposto del vangelo di Matteo (20, 1-16) è la nota parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna a diverse ore della giornata, meglio conosciuta come la parabola degli “operai dell’ultima ora”. Essa sviluppa ed esplicita l’affermazione di Gesù: “molti che sono primi saranno ultimi e gli ultimi primi” (Mt. 19, 30). Contrariamente a quanto riteneva la teologia giudaica, la ricompensa non è tanto l’adeguata remunerazione delle opere compiute dall’uomo, ma soprattutto il frutto della sovrabbondante bontà e misericordia di Dio. Dunque, una prima possibilità interpretativa riguarda il Regno e le sue dinamiche: per arrivare a comprendere il senso pieno della parabola bisogna convertirsi alla logica descritta da essa. I paradigmi della giustizia umana e le sue aspettative sono totalmente rovesciati, capovolti, e le certezze delle prospettive umane completamente disattese. Pertanto, in questa ottica prende senso il detto fondamentale per cui, davanti a Dio, i primi sono considerati ultimi e viceversa.
La generosità del padrone
Un secondo aspetto riguarda la misericordia divina in rapporto alla storia della salvezza: le azioni di Dio, che si rivelano giuste, sono però incomprensibili alla ragione umana, alla logica della retribuzione, per cui il padrone può fare quello che vuole e pagare allo stesso modo gli operai della prima e dell’ultima ora, pur rimanendo nel giusto di dare a ciascuno secondo ciò che aveva pattuito. La libertà del padrone è data dalla sua bontà e chi non riesce a entrare in questa logica appare automaticamente in contrapposizione rispetto alla sua misericordia.
Una terza linea interpretativa riguarda il rapporto tra i gruppi di operai: l’elemento che li accomuna è l’impegno richiesto, responsabile e serio, nel lavorare nella vigna del Signore. Già nella letteratura israelitica si trovano racconti simili, dove la remunerazione del lavoro svolto viene stravolta dall’intervento divino e in alcuni casi i due gruppi di operai trovano collocazione diversa: quelli della prima ora vengono associati ad Israele, mentre i pagani sono chiamati al servizio del Signore all’ultima ora.
Giustizia umana versus gratuità del dono
Una riflessione particolare merita l’atteggiamento degli operai della prima ora, che non rispecchia semplicemente la mentalità corrente della retribuzione, legata all’idea della giustizia umana più che all’amore libero e gratuito del padrone della vigna, ma che richiama il comportamento di rifiuto e di chiusura del fratello maggiore (cfr. la parabola del figliol prodigo), quando il padre non solo riaccoglie in casa il figlio prodigo, ma prepara una festa per lui. Gli operai della prima ora non riescono a entrare nella mentalità generosa e misericordiosa del padrone della vigna, come il fratello maggiore è talmente preso dal pensiero del merito acquisito che non sa più riconoscere il fratello come tale.
Le dinamiche di chiusura e di piccolezza umana autoescludono dalla gioia della misericordia gli operai della prima ora, come il fratello maggiore del vangelo di Luca (15, 28). Questa autoesclusione è l’elemento che ribalta la condizione dei primi che diventano ultimi, perché il loro cuore è piccolo e non sa aprirsi alla grazia della misericordia, per cui il limitato orizzonte umano li porta in una condizione peggiore di chi, pur peccatore e nell’errore, si lascia invece modellare e convertire dalla forza dell’amore e del perdono e per questo, non per proprio merito, da ultimo diventa primo.
Nel lasciare gli operai della prima ora in fondo alla fila, al momento della retribuzione, il padrone prova a insegnare loro la sua logica d’amore e di dono. Lascia che essi si aspettino una ricompensa maggiore, lascia cioè che emerga ciò che portano dentro, le loro aspettative, le recriminazioni, le pretese, i criteri utilitaristici nel loro rapporto con Dio. E solo quando sono immersi in tutti questi moti interiori li sorprende con la sua logica: come ti faccio torto? Non hai goduto la tua giornata di lavoro? Non hai avuto la tua ricompensa? Cosa vuoi da me? Perché ti accanisci contro questi che, lavorando per meno tempo, hanno avuto meno possibilità di godere di me? Perché ti dà fastidio che io sono buono?
Chissà se capita anche a noi, soprattutto a quei cristiani che cercano di vivere attivamente la propria fede impegnandosi per la chiesa e conformando le scelte di vita a quella che è la morale cristiana? Chissà se ci infastidisce pensare che altri, lavorando di meno o persino lavorando per altri padroni, avranno la medesima ricompensa da Dio? Chissà se ci sentiamo di meritare qualcosa di più di quelli che non sono riusciti a rispettare gli standard della morale cristiana?
Se pensassimo alla ricompensa del padrone come alla comunione con Dio, all’intimità con lui, scopriremmo che questa inizia nella vigna e che consiste proprio nel rallegrarsi di come è questo padrone, infinitamente buono, pronto al perdono e al dono senza limiti. Se stessimo veramente dentro la sua vigna, al suo servizio, acquisteremmo la sua logica e ci aspetteremmo che anche chi lavora poco o male, anche chi non lo conosce o non lo serve, in qualche modo venga ricompensato, introdotto nella vigna e ripagato. E invece ci induriamo. Le idee, le dottrine e persino le posizioni morali diventano motivo di separazione, di giudizio, di condanna e di pretesa. Noi che siamo quelli che hanno lavorato con tanta diligenza dobbiamo essere distinti da questi che hanno fatto così poco.
Conviene assumere la logica di Dio, rallegrarci del dono che lui fa a chiunque voglia stare nella sua vigna, così come gli riesce, e così godere anzitutto dell’essere a servizio di lui, che continuamente ci riempie del suo amore. E così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi, perché non ottiene il premio chi si impegna o ha alte prestazioni, ma chi si lascia affascinare dalla bontà di Dio, tanto da voler essere come lui.
Bibliografia consultata. Corini 2017; Segoloni Ruta, 2017
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