Alla conclusione del capitolo 12 del vangelo di Marco si trovano tre brevi episodi. Di questi oggi si leggono gli ultimi due (Mc. 12, 38-44): i rimproveri di Gesù agli scribi e il suo commento alla vista della vedova che offre il suo piccolo obolo nel tesoro del Tempio, di fronte al quale Gesù sta seduto (v. 41).
Il tema del giudizio
In Gesù che si siede di fronte al tesoro, l’evangelista Marco vede già il realizzarsi, almeno nella sua fase iniziale, della profezia del salmo 110: il Signore davvero ora siede sul trono e comincia a giudicare. Egli mette in luce i segreti delle tenebre e manifesta le intenzioni dei cuori, degli scribi prima e della vedova poi. Riguardo agli scribi egli stigmatizza la contraddizione tra l’amare gli onori, pregare a lungo per farsi vedere, e l’ingiustizia di divorare le case delle vedove, manipolando la legge contro persone indifese: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa” (vv. 38-40).
L’inaudito dono di se stessa
Osservando invece il gesto della vedova, Gesù coglie in lei qualcosa di preziosissimo: ella dona al Signore praticamente la sua stessa vita, privandosi del necessario. “Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo” (vv. 41-42).
E questo in perfetta solitudine, senza nemmeno poter udire la flebile eco degli spiccioli caduti, coperta dai suoni ben più forti delle grandi monete dei ricchi. Per questo egli chiama a sé i discepoli, quasi con fretta, per paura che perdano un attimo così importante, e come giudice giusto mostra loro il valore del gesto della donna: “Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: In verità io vi dico che questa vedova così povera ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (vv. 43-44).
Da parte sua, l’evangelista, sottolinea a tre riprese che quella donna era povera, viveva nella miseria, evidenziando così la generosità del suo dono. Si può forse proseguire nel cogliere altre risonanze, nel muto dialogo tra Gesù e la donna, che forse non si è nemmeno accorta di lui. Risonanze che in qualche modo si collegano alla cooperazione tra il profeta Elia e la vedova di Sarepta (cfr. prima lettura 1 Re, 17, 10-16). Anche Gesù è in qualche modo vittima dei propri oracoli profetici, perseguitato per aver annunciato il nuovo regno di Dio, lui che è mandato dal Padre, padrone della vigna, a ricevere i frutti pattuiti.
In quella vedova avvolta di miseria vede in qualche modo se stesso: anche lui ha dato e sta per consumare il dono della sua vita. Un dono che avverrà in un assoluto abbandono, nella derisione e nel disprezzo del suo popolo, mentre sarà inaspettatamente percepito dal centurione, straniero e oppressore. Così, però, Gesù in qualche modo “riceve” da lei. Riceve conferma, consolazione, incoraggiamento. Anche la sua solitudine alleviata dal gesto della donna, anch’esso compiuto senza alcuna registrazione, eccetto che quella fatta nell’invisibile libro della vita. Appartiene al mistero dell’incarnazione che essa si compia nel dialogo, nell’incontro ineffabile tra il desiderio del Signore di farsi uomo e l’ingenua, generosa semplicità di coloro che non hanno altra speranza che lui. Da questo incontro scaturisce, come scintilla, nuova vita.
Le nostre ricchezze, i nostri doni
Sarebbe interessante comprendere cosa ci spinge a volere donare a Dio: offriamo a Dio qualcosa di autentico e di irripetibile, o piuttosto un doppione e del superfluo? E’ la vedova che, agli occhi di Gesù, esce dall’anonimato della folla nell’atto di donare i pochi spiccioli che possiede, cioè tutta se stessa; e così facendo diventa la vedova più famosa di tutta la storia della salvezza.
Desideriamo anche noi, come quella vedova, uscire dall’agglutinamento di una folla anonima che dona con le mani ma senza cuore né ragione ciò che pensa di avere o di essere, e così entrare nella “dimensione” di Dio ossia l’eternità? Uscire dall’anonimato agli occhi del Cristo, della Chiesa e del mondo significa divenire testimoni credibili; uomini e donne capaci di gesti concreti e autentici che rispondono a una legge di amore. Il messaggio che ci giunge questa domenica ci fornisce l’opportunità di aprirci a Dio e al prossimo. Non ci sia per noi alcun timore di donare, sia pure nelle nostre limitazioni e miserie, agli altri che gridano il loro bisogno verso di noi.
Il Signore ci invita a guardare in faccia alla nostra appagante generosità, come quella di dare ai poveri i nostri vestiti usati o mettere una moneta nella mano del mendicante che ci importuna, e a scorgere il dono infinitamente più grande di chi si priva dell’indispensabile, di chi impegna quel poco che ha, di chi non esita a privarsi di quanto gli è necessario per tirare avanti.
Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Tornambé, 2018; Laurita, 2018.
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