Religione, “I vostri nomi sono scritti nei cieli”
di Il capocordata
L’evangelista Luca ci narra un duplice invio in missione: il primo riguarda i Dodici, mentre il secondo (Lc. 10, 11-12) è rivolto a 72 discepoli, mandati a proclamare il Vangelo del regno a tutti i popoli della terra, prefigurando così la missione universale della Chiesa dopo l’evento della Pentecoste. Il numero 72 possiede certamente un valore simbolico atto a indicare la totalità delle genti. Luca poi precisa che il Signore “li inviò a due a due” (v. 1). Il procedere in coppia consente ai discepoli di sostenersi a vicenda nelle difficoltà e rende più credibile la loro testimonianza dinanzi ai destinatari del Vangelo. Essi hanno il compito primario di preparare la strada al Maestro: “ li inviò…davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (v. 1).
Il primato della preghiera
“Pregate dunque il Signore della messe” (v. 2). Si noti anzitutto il primato che il Maestro accorda alla preghiera a sostegno dei missionari. “La messe è molta e gli operai sono pochi”, a dire che il campo della missione è universale ed è molto ampio se rapportato alle forze degli inviati. Ciò però non deve scoraggiare, perché i discepoli sanno che il loro mandato viene da Dio ed è supportato dalla sua grazia. Certamente è doveroso che i discepoli affrontino la missione con spirito di orazione, per essere in piena sintonia con la volontà del Signore e per evitare un dannoso appiattimento su progetti e calcoli troppo umani e miopi.
Una volta ribadita la necessità della preghiera a sostegno della missione, giunge l’imperativo “Andate!” (v. 3), cui segue immediatamente il monito riferito alle difficoltà che gli inviati incontreranno. I discepoli saranno infatti come agnelli in mezzo ai lupi, incontreranno cioè tante avversità e talvolta aspre ostilità da parte di coloro che non accoglieranno il Vangelo. Eppure essi dovranno mantenersi mansueti come agnelli, immagine che contiene un implicito invito alla non violenza, sul modello di Gesù, che affronterà la passione come “agnello condotto al macello” (Is. 53, 7).
Un’esistenza precaria per il Vangelo
“Non portate borsa, né sacca, né sandali” (v. 4). Si rimane colpiti dalla radicalità della richiesta di Gesù, poiché ai discepoli è di fatto imposto di vivere della carità che verrà loro accordata lungo il cammino. La disponibilità a condurre un’esistenza precaria per il Vangelo costituirà in tal modo un banco di prova della fede nella provvidenza di Dio; un comportamento così radicale rimane un invito permanente agli evangelizzatori: abbandonare tutto ciò che è superfluo per lo svolgimento corretto della missione.
“Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (v. 4): con queste parole Gesù non intende certo incoraggiare un atteggiamento maleducato e scostante. Con l’invito a non fermarsi a salutare nessuno lungo la strada, Gesù ricorda ai discepoli l’urgenza della missione e li mette in guardia dal perdere tempo in distrazioni inutili o addirittura fuorvianti.
Il dono della pace
I missionari sono anzitutto mandati a portare la pace: una pienezza di vita e di comunione con Dio, che ora sono raggiungibili grazie alla salvezza donata da Gesù. La risposta favorevole alla predicazione del Vangelo comporterà che al missionario vengano concessi l’accoglienza e il sostegno necessario all’attività di predicazione. Laddove i missionari verranno accolti, a loro sarà chiesto di condividere la mensa e di guarire i malati annunciando la vicinanza del regno di Dio, a significare che la presenza salvifica di Dio mira a restituire all’uomo la sua piena dignità, deturpata dalla presenza del male nelle sue molteplici forme, fisiche e morali.
La possibilità del rifiuto e dell’eccessiva fiducia in se stessi
“Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno “ (v. 10). In questo caso, non solo i discepoli non compiranno alcun gesto miracoloso, ma, con fare profetico, scuotendo la polvere dai loro calzari, dovranno rivolgere alla città che non li accoglie un duro monito: la vicinanza del regno di Dio si trasformerà in motivo di condanna. La severità del monito mira certamente a scuotere le coscienze degli uomini che si chiudono all’annuncio evangelico. Essi devono sapere che se non vivranno sotto la signoria di Dio, finiranno inevitabilmente sotto la signoria di Satana e andranno rovinosamente incontro alla distruzione totale.
“I settantadue discepoli tornarono pieni di gioia” (v. 17). I missionari tornano dal Maestro esultando perché persino i demoni si sono sottomessi nel suo nome. Gesù approva tale entusiasmo e rivela che, mentre essi adempivano la loro missione, lui contemplava la sconfitta di Satana. Tuttavia Gesù ricorda che non è per la superiorità nei confronti del male che i discepoli devono rallegrarsi, poiché Satana, sconfitto in cielo, è ancora pericolosamente operante sulla terra. Piuttosto, essi devono rallegrarsi per il fatto che i loro nomi sono scritti nei cieli: “rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (v. 20).
I discepoli non devono gioire per il potere che è stato loro concesso sopra il nemico, ma perché Dio li ama di un amore infinito, tanto da annoverarli nel libro della vita, destinandoli così a una beatitudine eterna. E’ dunque l’amore di Dio che li rende superiori alla potenza del nemico e immuni dai suoi attacchi. Possiamo scorgere nell’affermazione di Gesù una messa in guardia dal riporre eccessiva fiducia in se stessi, per evitare di cadere nella tentazione dell’orgoglio e della presunzione.
Bibliografia consultata: Gennari, 2019.