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Religione, Il comandamento dell’amore

Il brano del Vangelo (Mt. 22, 34-40) della domenica 30^ del tempo ordinario è costituito di pochi versetti, ma che sono di una densità straordinaria. Una sintesi sorprendente che indica le direttrici fondamentali dell’esperienza cristiana, innestata nella radice santa d’Israele. Osserviamo però prima di tutto la cornice del testo: ancora una volta ci troviamo nel contesto della polemica contro Gesù, questa volta innescata dai soli farisei, i quali volevano primeggiare sull’altro partito in competizione con loro, quello dei sadducei, a cui il Signore aveva “chiuso la bocca” alla loro ridicola domanda sulla risurrezione dei morti. Poiché questi ultimi erano stati ammutoliti dall’autorità del Signore, i farisei tentano di metterlo in difficoltà, questa volta in merito a ciò che di più sacro ed importante esista per la fede del pio ebreo: la Legge.

La dimensione verticale dell’amore

Da un fervido rappresentante dei credenti osservatori della Torah (la Legge) non ci si poteva aspettare di meglio che una domanda riguardo a quale dei 613 precetti fosse da ritenersi il più importante. Ora, già la Sacra Scrittura presenta diverse sintesi della Legge (Salmo 15 e Is. 33, 15-16), e le scuole rabbiniche arriveranno ad una rigorosa classificazione di tali precetti. Gesù, invece, propone una risposta articolata in due momenti, non separati o autonomi tra loro, ma complementari. Sono noti i rimandi biblici ai quali il Signore fa riferimento e che sono il fondamento della fede di Israele: il primo è la preghiera dello “Ascolta Israele”, recitata ancora oggi più volte al giorno dal pio ebreo e che si trova in Deuteronomio 6, 4-5. Essa declina il fondamento della relazione con il Dio d’Israele, l’unico Dio, basata sull’imperativo del verbo “ascolta”(nel suo significato etimologico di “obbedire”) e su una triplice condizione di amore: amerai il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Il credo di Israele comprende così l’intera persona nelle sue diverse dimensioni: la sede delle scelte e della sintesi della vita è il cuore; la realtà della fede fa riferimento all’anima,  ed il corpo, a cui si riferiscono le forze, riguarda l’azione. E’ un’adesione d’amore totale ed incondizionata a Dio.

La dimensione orizzontale dell’amore

Il secondo momento della risposta di Gesù invece riguarda l’amore per il prossimo, altro aspetto fondamentale, secondo il testo del Levitico 19, 18: “ama il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”. Da questo punto di vista, amore di Dio e amore del prossimo (inteso in senso ampio, includendo anche un corretto amore di sé, visto che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi), si possono distinguere, ma non si devono separare. Il testo, quindi, invita a riconoscere prima di tutto se stessi come dono di Dio e, di conseguenza, anche il prossimo come tale e non come ostacolo o limite alla propria libertà e realizzazione. Anche questo aspetto diventa fondamentale nell’esperienza relazionale che costituisce l’essere umano.

Gesù in questo modo, nella risposta al fariseo, lega indissolubilmente i due momenti, per cui le due dimensioni dell’amore, quello verticale per Dio e quello orizzontale per il prossimo, non sono separabili, ma complementari.

E’ interessante notare come l’unità tra la dimensione verticale e quella orizzontale forma graficamente una croce; questo è il punto di convergenza: l’unità inscindibile del comandamento dell’amore è data dalla croce di Cristo. Pertanto appare profondamente evidente quello che Giovanni ricorda nella sua lettera: “ chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv. 4, 20). Qui emerge tutta la concretezza dell’amore cristiano, non una teoria, ma una pratica di vita, per cui l’amore per il prossimo diventa la via per amare Dio. Allo stesso, però, non posso amare il prossimo in modo autentico se non nella relazione d’amore con Dio. Come infatti adempiere all’indicazione fondamentale di Gesù di amare i propri nemici? Umanamente è impossibile, se non si riscopre la fonte dell’amore proprio in Dio.

Ecco perché Gesù, rispondendo alla domanda del fariseo su quale fosse il comandamento più grande e importante della Legge, in realtà cita due testi biblici, ma in una relazione di unità per cui uno dipende dall’altro. Infatti egli stesso conclude dicendo: “da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (v. 40). Egli cioè indica che la sintesi dell’esperienza salvifica con Dio, che si riscontra nella storia della salvezza, si trova proprio nella relazione tra questi due comandamenti e nella loro accoglienza da parte dell’uomo.

La risposta di Gesù allora diventa il fondamentale riferimento per l’uomo di ogni tempo e di ogni storia, talmente importante da essere la chiave di lettura della stessa esperienza e persona di Gesù: lui ha amato il prossimo e i nemici, lui ha insegnato ad amare il Padre. Ma ancora di più essa diventa indispensabile alla prima comunità cristiana, alla Chiesa delle origini e di sempre, per comprendere anche la propria esperienza alla sequela del Maestro. Così anche per noi, discepoli del nostro tempo, diventa il riferimento principe per comprendere e vivere qui e oggi, nel nostro quotidiano fatto di fatiche e di difficoltà, la nostra identità cristiana, radicata nelle due dimensioni imprescindibili dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

Bibliografia consultata: Corini, 2017.

Redazione

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