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Religione, il cristiano durante il tempo dell’attesa

I tre vangeli, di Matteo, Marco e Luca, concludono il ministero pubblico di Gesù con un grande discorso sulla fine del mondo, pronunciato in occasione di una profezia sulla distruzione del tempio (Lc. 21, 5-19). Al suo arrivo a Gerusalemme, Gesù è entrato nel tempio; “alcuni parlavano delle belle pietre e delle offerte votive che lo adornavano”: la riflessione sulla bellezza del tempio viene attribuita ad alcune persone non meglio specificate, le stesse che pongono a Gesù la domanda a cui risponde il discorso. Gesù afferma che del bel tempio “non resterà pietra su pietra” (v. 6). La profezia sulla distruzione del tempio fornisce l’occasione del discorso di Gesù sulla fine del mondo. “Maestro, quando succederà questo? e qual è il segno che queste cose stanno per venire?” (v. 7).

La domanda è duplice: riguarda in primo luogo il “tempo” e in particolare il “segno” da cui si riconoscerà che l’avvenimento sta per compiersi. La prospettiva di Luca è la rovina del tempio, mentre per gli altri due evangelisti è la fine del mondo. Egli vuole dissociare la rovina del tempio dalla fine del mondo, allo scopo di non confondere i due avvenimenti. Provvisoriamente si limita dunque alla sorte del tempio, e parlerà della fine del mondo solo quando potrà mostrare chiaramente che essa non ha niente a che vedere con i fatti dell’anno 70 d.C., della distruzione del tempio per mano dei romani.

Segue un duplice ammonimento (vv. 8-9). “State attenti a non lasciarvi ingannare”: attenti al pericolo degli impostori che annunciano che il tempo è giunto, che la fine sia vicina. Il pericolo che inquieta Luca è che i cristiani si lascino prendere dalle illusioni di coloro che pensano il momento della fine, che immaginano che il regno di Dio stia per manifestarsi nella sua gloria e che il Figlio dell’uomo stia per mostrarsi sulle nubi del cielo da un momento all’altro: “non seguiteli!”. Non bisogna lasciarsi sgomentare neppure dalle guerre e dalle insurrezioni; esse non hanno più il valore di segno precursore, nemmeno lontano; non hanno più relazione con la fine. L’evangelista teme il pericolo, che le illusioni a questo riguardo potrebbe far correre alla fede dei cristiani portandoli ad inevitabili delusioni.

Anche le catastrofi cosmiche (terremoti, pestilenze, carestie) non possono essere considerate in alcuna maniera come i segni della fine. Così pure le persecuzioni contro i cristiani non hanno un significato “della fine del mondo”, perché caratterizzano la condizione dei cristiani in questo mondo e per tutto il tempo che durerà la storia di questo mondo. L’evangelista si preoccupa di incoraggiare i perseguitati accentuando i motivi da cui devono trarre fiducia nelle prove. La predizione si trasforma così in un invito alla fiducia (v. 12). Gesù annuncia ai discepoli il feroce trattamento a cui verranno sottoposti dai persecutori: arresto, incarcerazione, comparizione davanti ai tribunali giudaici e pagani, a causa del suo nome. Queste prove sono la loro garanzia di salvezza davanti al tribunale di Dio. I discepoli perseguitati hanno la promessa che la loro parola di difesa sarà invincibile anche di fronte ai loro avversari, perché suggerita da Gesù stesso.

Si riveleranno nemici dei cristiani i loro stessi familiari e saranno odiati da tutti a motivo della loro fede in Gesù: “ma neppure un capello del vostro capo perirà” (v. 18). Luca ha voluto correggere l’impressione troppo penosa che rischiava di dare la descrizione delle prove che attendono i cristiani. Egli ricorda ai suoi lettori la protezione del tutto speciale promessa loro: “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati”. Dio provvede sempre alle sue creature, come ai gigli del campo e agli uccelli del cielo! Per questo l’invito di Gesù a perseverare nelle tribolazioni per ottenere la salvezza (v. 19). La perseveranza diviene quella forma di forza d’animo esigita dalle prove della vita cristiana. E’ la perseveranza nella fede: essa permette alla vita cristiana di portare frutto, che assicura la salvezza dell’anima e l’ingresso nel regno. Tale costanza si appoggia sulle promesse di protezione e di aiuto divino fatte da Gesù ai discepoli, e diventa una forma di fiducia in Dio, che non abbandona i suoi nelle loro difficoltà.

Abbiamo dunque compreso che Gesù non soddisfa il prurito di curiosità circa il futuro. Noi gli chiediamo “quando” sarà la fine del mondo e quali sono i “segni”. Ma lui si è rifiutato e si rifiuterà sempre di rispondere. E’ venuto ad insegnarci che il mondo ha nel Padre il suo inizio e il suo termine, e ci chiama a vivere il presente in questa prospettiva, l’unica che dà senso alla vita. Gesù vuole togliere anche quelle ansie e allarmismi sulla fine del mondo, che prosperano ovunque e non fanno che danno. L’uomo, unico animale cosciente del proprio limite, dopo il peccato si lascia guidare dalla paura della morte. Gesù offre l’alternativa di una vita che si lascia guidare dalla fiducia in Dio (Padre e Madre), in un atteggiamento di dono e di amore che ha già vinto la morte.

Bibliografia consultata: Dupont, 1970: Fausti, 2011.

Redazione

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