Nel vangelo di Luca le apparizioni del Risorto accadono tutte nello stesso giorno: l’annuncio alle donne, il cammino del Risorto con i due discepoli amareggiati, l’apparizione ai discepoli (24, 35-48) che è il brano di questa domenica, la promessa dello Spirito e il ritorno al Padre. L’evangelista sembra affermare che la risurrezione del Cristo ha generato uno spazio nuovo, un giorno senza fine, un’esperienza di vita “permanente”. Ogni generazione che accoglie la testimonianza di Gesù abita questo spazio, incontra l’annuncio, vive l’esperienza di camminare con il Risorto e riceve il mandato di testimoniare l’evento stupendo della risurrezione.
“Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi…Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (vv. 44-45). Nel capitolo finale del vangelo (cap. 24) ogni incontro è focalizzato sulla Parola. Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo all’invito dell’angelo “si ricordarono delle sue parole” e, pur non avendo visto il Risorto, corrono a portare l’annuncio agli undici e alla comunità dei discepoli. Nel cammino verso Emmaus il Risorto si affianca a due discepoli amareggiati e delusi, due tra i molti che non hanno creduto alla parola delle donne. Gesù interpreta le antiche scritture d’Israele e le trasforma in una Parola che fa bruciare il cuore. Per questa Parola ( e per “lo spezzare il pane”) i due ritornano nella comunità e si trasformano in testimoni della risurrezione.
Luca sottolinea però che la Parola non basta; molte volte anche il nostro annuncio e le nostre parole non fanno bruciare il cuore e non aprono gli occhi del cuore e della fede. L’evangelista ci ricorda che la Parola deve farsi esperienza, l’esperienza di un incontro che cambia la vita.
Toccare, vedere: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho” (v. 39). Il corpo, mani e piedi, ricorda l’esperienza vissuta: l’incontro lungo le sponde del lago; il lungo cammino per le strade della Galilea e della Giudea; le persona incontrate e guarite; ricorda il dolore della fine; l’arresto, il processo e soprattutto la morte, dove mani e piedi furono inchiodati alla croce. Mani e piedi piagati, ma trasfigurati nella risurrezione non sono più testimoni di violenza e odio, ma parlano di perdono; non sono più segni di fallimento e di morte, ma di un inizio nuovo, di una vita infinita e di un futuro che sta per cominciare.
Condividere il pasto: Luca ama presentare Gesù seduto a tavola in contesti diversi, con i farisei e con i pubblicani, a casa di Marta e Maria, le sorelle dell’amico Lazzaro, e con i suoi discepoli. Per i discepoli la mensa diviene il luogo del riconoscimento. Mangiare insieme è riconoscersi famiglia, è condividere la vita. Per i discepoli mangiare con il Risorto ricorda, inoltre, l’ultimo pasto condiviso con Gesù, dove il Maestro si è fatto pane e vino, ha donato la propria vita e la propria morte in un gesto d’amore senza limiti.
L’esperienza della Presenza rende disponibili all’accoglienza della Parola: “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (vv. 44-45). L’esegeta Gesù apre le Scritture ai suoi offrendo la propria persona come chiave di lettura dell’antica alleanza. La Scrittura cessa di essere lettera morta e diventa relazione, rapporto, una realtà viva e personale che scalda il cuore. In questa relazione la morte e risurrezione del Cristo cessa di essere una realtà estranea e diventa criterio per comprendere l’esistenza del Signore e contemporaneamente la propria esperienza.
Riconoscere Gesù e vivere l’esperienza della sua risurrezione richiede, dunque, una conoscenza profonda di lui, una sorta di consanguineità con lui che nasce soltanto quando la Scrittura diviene Parola anche per noi. Vivere così è testimoniare: “Di questo voi siete testimoni” (v. 48). L’evangelista ricorda alla sua comunità e a noi che testimoniare è vivere la Parola, è lasciare che la mia vita diventi il luogo in cui Cristo può essere incontrato. Questo richiede una consuetudine di vita con Gesù, camminare con lui per lasciarsi trasformare nella mentalità, nello stile di vita, nei criteri di giudizio, nella scala di valori. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine.
“Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati” (v. 47). La missione non è soltanto andare; non è neppure, primariamente, un impegno sociale. La missione è porre il fratello faccia a faccia con Cristo perché possa risorgere con lui, nella conversione e nel perdono. Per noi è difficile credere nel perdono di Dio, vivere nella certezza di essere creature nuove avvolte dall’abbraccio del Padre. Eppure il Risorto cammina con noi, invitandoci a essere persone di riconciliazione. Essere persone di riconciliazione richiede di essere contemplativi, vedere la storia attraverso lo sguardo di Dio, in una prospettiva di salvezza, e missionari, capaci di sentire ogni fratello nostro, di andare a cercarlo, di caricarlo sulle nostre spalle, di condurlo a Gesù perché egli lo guarisca.
Essere persone di riconciliazione richiede di essere un prolungamento dell’umanità di Gesù oggi. Richiede una quotidianità con lui che rende la nostra parola, la sua parola; i nostri gesti, i suoi gesti; la nostra esistenza, la sua esistenza: che solo la potenza di Cristo compie in noi!
Bibliografia consultata: Gatti, 2018.
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