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Religione, Il discepolo: sale della terra e luce del mondo

Questo brano (Mt. 5, 13-16) forma con quello delle “beatitudini” l’inizio del “discorso della montagna”. Gesù, dopo aver tracciato un programma tutto mitezza e umiltà, continua con il delineare l’incomparabile dignità del discepolo, definendolo “sale e luce della terra”.

“Voi siete il sale della terra” (v. 13)

Il potere del sale è molteplice: esso condisce, depura, protegge dalla putrefazione. Nella sua applicazione metaforica ai discepoli, il sale deve illustrare l’importanza che essi hanno per il mondo. Il significato dei discepoli per il mondo corrisponde a quello del sale per il cibo. Manifestamente i discepoli di Gesù sono insostituibili per il mondo. Già nel tardo giudaismo, la legge viene paragonata al sale che permette al mondo di sopravvivere.  Ciò che fa dei discepoli il sale della terra è la “sapienza”: che i cristiani restino quel che sono, dato che possiedono la scienza della volontà di Dio, vivendo una vita in armonia con ciò che hanno ricevuto.

Ma l’accento non è posto su questo punto, bensì sulla possibilità di fallire. Il sale può diventare stantio, insipido, senza gusto, e allora non vi è più nulla con cui si possa salare. Infatti, “se il sale perdesse sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?”. Un cristiano che ha perduto la sua forza si trova nell’impossibilità di esercitare la funzione che gli compete nei confronti del mondo: agire nel mondo per trasformarlo. Non gli resta altro che “essere gettato via”. Il Cristo mette in guardia i suoi discepoli e li invita, sotto pena di patire il castigo supremo, a non tradire la loro vocazione di orientatori del mondo. Il discepolo che segue Gesù senza aderire veramente al suo messaggio è irrecuperabile per la salvezza.  

“Voi siete la luce del mondo” (v. 14-16)

Non si accende una luce per nasconderla sotto il moggio: così Gesù risponde a coloro che gli consigliano la prudenza. Non ci si può affrettare a nascondere la lucerna nel momento in cui brilla: Gesù è fortemente convinto della sua missione di essere la luce del mondo (Gv. 9, 4). In tal modo, Gesù definisce anche la funzione dei suoi discepoli: voi siete la luce del mondo! Affermando che i discepoli sono “la luce del mondo”, Gesù attribuisce loro un onore considerevole. Infatti, non è forse questa la definizione che i rabbini davano delle legge mosaica e del tempio di Gerusalemme? Anche Israele si considera come la luce del mondo. Per l’evangelista, tale compito è stato tolto agli ebrei e affidato ormai ai cristiani. Il mondo designa l’umanità che popola l’universo.

I discepoli non possono attribuirsi da sé la luce, ma possono comprometterne l’azione e causarne perfino lo spegnimento. Sarebbe una decisione del tutto insensata il voler porre la lucerna, invece che sul lucerniere, sotto un vaso. Ai discepoli è affidata la luce perché la facciano risplendere. Occultando la loro luce, i discepoli si renderebbero colpevoli: come quel servo malvagio e infingardo, che nascose il suo talento sottoterra.

“risplenda la vostra luce” (v. 16)

Ma i cristiani non hanno perciò alcun motivo per inorgoglirsi. Poiché, innanzitutto, la luce con cui devono illuminare il mondo altro non è se non la rivelazione di Gesù, pura grazia di cui l’uomo non si può vantare. I discepoli non hanno il diritto di impedire alla rivelazione divina di raggiungere gli uomini: essi devono al contrario comportarsi come una città visibile da lontano, come la Gerusalemme radiosa annunciata dai profeti, o anche, più semplicemente, come la lampada posta sul lucerniere, “perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”: infatti, a tutte le genti il Vangelo deve essere comunicato dai discepoli.

“perché vedano le vostre opere buone” (v. 16)

Le “opere buone”, per la religiosità giudaica, consistevano nel fare sia l’elemosina che le diverse “azioni caritatevoli”. Ma, con esse, l’evangelista Matteo intende riferirsi a tutta la condotta cristiana, come dimostra la sequenza del “discorso della montagna”. Inoltre, queste opere buone perdono ora il loro carattere facoltativo, e non si guarda alla ricompensa che ci si potrebbe attendere: conta solo la gloria di Dio. Il fine di queste opere è che gli uomini lodino Dio. Tale gloria si ottiene indirettamente, per il tramite degli uomini, davanti ai quali queste opere sono compiute. Il discepolo di Gesù si guarderà bene da ogni ostentazione: gli basti essere fedele, lasciando che Dio soltanto si occupi della sua gloria. L’opera dei discepoli si distingue quindi dal proselitismo e dal reclutamento interessato. Non si può nemmeno parlare di esibizionismo; la messa in mostra tende alla lode di sé, al soddisfacimento della vanità e dell’ambizione

La conversione dei pagani, scopo essenziale del cristianesimo, appare qui come una tappa intermedia. Inclusa senza alcun dubbio in questa istruzione, essa si attenua nel finale per lasciare il posto solo alla gloria di Dio. Il fine del nostro ministero consiste nel ricordare Dio agli uomini, al fine di condurli alla lode riconoscente della grazia divina. Abbiamo invece rovinato il nostro ministero, se perseguiamo in esso la nostra glorificazione (la carriera!). L’unica vera riuscita consiste nel far risultare dalla nostra azione pastorale la lode divina.                        

Bibliografia consultata: Legasse, 1974; Gnilka, 1990.

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