Religione, Il racconto della Passione nel Vangelo di Luca
di Il capocordata
Nella domenica delle Palme ascolteremo il racconto della Passione di Gesù secondo Luca, che si caratterizza per la preoccupazione che l’evangelista ha come storico e come scrittore nello svolgimento dei fatti e nel redigere un racconto stilisticamente ben condotto. Inoltre, il suo è il racconto di un discepolo che rivive la storia del suo maestro. L’attaccamento personale si manifesta nell’affermazione ripetuta dell’innocenza di Gesù, nell’omissione di particolari offensivi e crudeli. Per il discepolo, la Passione è anche un invito a seguire Gesù sulla strada della croce.
L’arresto di Gesù (Lc. 22, 47-53)
Giuda, il traditore, si accosta per baciare Gesù: l’evangelista non dice che Giuda lo baciò, riferisce le parole di Gesù (“con un bacio consegni il Figlio dell’Uomo?”) che suonano stupore e meraviglia. Un gesto, che esprime ogni bene, è stravolto nel suo contrario! Se Giuda lo consegna, lui si è già consegnato per amore: bene e male si incontrano, percorrendo in senso inverso la stessa strada. I soldati, presolo, lo condussero nella casa del sommo sacerdote. Da questo modo indiretto di parlare dell’evangelista, si comprende la sua devozione verso il maestro che lo porta ad attenuare tutto ciò che costituisce un brutale attentato alla dignità umana di Gesù. Anche in seguito non farà nessun accenno esplicito agli schiaffi e agli sputi, alla flagellazione o alla coronazione di spine. Luca si sforza di mettere in luce la grandezza morale di Gesù e ammiriamo nel suo comportamento verso i discepoli un meraviglioso esempio di generosità.
Il processo da parte dei giudei (Lc. 22, 54-71)
L’evangelista Luca narra per primo il rinnegamento e il pentimento di Pietro, gli oltraggi dei soldati, l’interrogatorio mattutino e la consegna a Pilato. Egli si domanda subito quale sarà l’atteggiamento del discepolo durante l’interrogatorio del maestro. Istintivamente si è portati a rinnegare la propria solidarietà con Gesù prigioniero, si ha vergogna di proclamarsi discepoli di un maestro umiliato fino a quel punto: Pietro afferma di non conoscerlo. La tentazione di ogni credente è proprio quella di non conoscere o dimenticare Gesù crocifisso: il centro della fede cristiana è conoscerlo e stare con lui, che è il Crocifisso per me. E’ la tentazione che può insinuarsi nel cuore di ognuno, mentre la narrazione del pentimento di Pietro, suscitato dallo sguardo del Signore che si volge verso di lui, rivela il segreto di ogni conversione generosa; “e uscito fuori pianse amaramente”: il pianto è il sentire del cuore che tracima dagli occhi. Il pianto amaro di Pietro è la fine della sua falsa identità; questa sua morte è il recipiente che accoglie la sua vera identità: l’amore che il Signore ha per lui. Questa è la vita nuova, la vita eterna. Le lacrime di Pietro sono il suo battesimo, il battesimo del cuore.
Durante l’interrogatorio, l’attenzione è focalizzata unicamente sulla rivelazione della persona di Gesù: come il Messia e come Figlio di Dio. La sua proclamazione della filiazione divina non è giudicata come una bestemmia, né viene riportata la formula di condanna. Luca si limita ad osservare che, dopo le parole di Gesù, le autorità giudaiche si ritengono dispensate da ogni altra testimonianza e conducono Gesù dinanzi a Pilato.
Il processo da parte dei romani (Lc. 23, 1-32)
Il tema fondamentale di Luca è l’innocenza di Gesù: dopo la sua prima domanda, Pilato dichiara di non trovare nell’accusato alcun motivo di condanna e interpreta nello stesso senso il comportamento di Erode che glielo rimanda. Gesù è dichiarato politicamente innocente dall’autorità romana. Inoltre è determinante, dal punto di vista teologico, che Gesù sia crocifisso come giusto, solidale con gli ingiusti. Solo così si può capire chi è lui, e in lui chi è Dio e qual è la sua salvezza. L’incontro con Erode è l’occasione per condannare una falsa maniera di interessarsi a Gesù, per pura curiosità e gusto del divertimento: un simile comportamento non ottiene nulla da Gesù, per cui Erode lo rimanda da Pilato. Il procuratore Pilato esprime più volte il desiderio di liberare Gesù, ma le grida della folla non gli consentono di attuare il suo progetto decidendo, alla fine, di abbandonare Gesù alla loro volontà. Luca sottolinea con forza che in Gesù non c’è la minima ombra di colpa.
Il Calvario (Lc. 23, 33-56)
Nel racconto di Luca, Simone di Cirene e le pie donne di Gerusalemme non sono presentati come testimoni in grado di garantire la verità dei fatti, ma piuttosto come esempi che stimolano il cristiano ad associarsi più intimamente alla Passione del suo Salvatore. Sul Calvario, al discepolo che lo contempla, Gesù offre l’esempio del perdono delle offese: è una pratica dimostrazione di osservanza del precetto di amore verso i nemici. Uno dei malfattori crocifissi con Gesù ricusa di associarsi agli insulti che piovono dalle labbra dell’altro: egli riconosce che essi sono entrambi colpevoli, mentre Gesù è innocente, ed esprime la propria fede attraverso un’umile preghiera di domanda. Gesù risponde che la sua richiesta sarà esaudita il giorno stesso: “Oggi sarai con me in Paradiso” (23, 43). Il crocifisso spalanca le porte della misericordia. Morendo, Gesù dà l’esempio di un perfetto abbandono alle mani di Dio, sottolineando con forza l’atteggiamento filiale di Gesù che muore invocando il nome del Padre: “Padre nelle tue mani affido il mio spirito” (23, 46). L’esclamazione del centurione esprime allora la persuasione che “quest’uomo era giusto” (23, 47): nel Giusto che muore con gli ingiusti si rende visibile l’amore di Dio per noi; la sua bellezza traspare sulla terra e riacquista il suo peso. Nella conclusione del racconto, Luca suggerisce ancora un atteggiamento di contemplazione e insiste sull’efficacia della croce per la conversione dei cuori (23, 48s): questa morte è uno “spettacolo”, visione dell’essenza di Dio che si esibisce nella sua misericordia per l’uomo. Il Crocifisso è la “theoria” divina, da cui scaturisce una prassi nuova. Finalmente l’uomo vede chi è Dio, si converte a lui, e ritorna a lui, suo “luogo naturale”: in lui solo è se steso e può vivere.
Bibliografia consultata: Vanhoye, 1972; Fausti, 2011.