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Religione, Il Seminatore uscì a seminare: la parabola

Quella del seminatore (Mt. 13, 1-23) è una delle parabole più famose di Gesù: egli parla in parabole e attraverso esempi concreti tratti dalla quotidianità vuole istruire prima di tutto i suoi discepoli sul Regno e la sua accoglienza. La parabola del seminatore può essere divisa in tre momenti: la parabola in sé (vv. 3-9); il motivo del parlare in parabole di Gesù (vv. 10-17) e la spiegazione della parabola (vv. 18-23).

Diversità nella ricezione della parola

In questa parabola il Signore parla di sé e del suo ministero. “Ecco il seminatore uscì a seminare” (v. 3): egli stesso è il seminatore che diffonde la parola del Padre nel cuore dell’uomo. Gesù, attraverso la sua parola, annuncia il Regno e le diverse tipologie di terreno indicano la capacità di ascoltare e di accogliere questo annuncio. Infatti il seme sparso dal seminatore è sempre lo stesso, mentre a cambiare è il terreno e cioè il modo con cui l’annuncio del Regno viene accolto. Fondamentalmente abbiamo due possibili atteggiamenti: coloro che per diversi motivi non accolgono l’annuncio,”cadde lungo la strada” (v. 4), o solo parzialmente, “sul terreno sassoso o sui rovi” (vv. 5.7), e coloro che non soltanto ricevono l’annuncio, ma portano frutto secondo la loro capacità: ”Una parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno” (v. 8). I motivi per cui emergono difficoltà nella ricezione della parola di Gesù sono diversi, secondo la spiegazione che egli stesso ci consegna (vv.18-23).

Un primo gruppo di persone riceve l’annuncio, ma poi il Maligno si impadronisce di quello che è rimasto semplicemente nell’intelletto e non ha raggiunto il cuore: questi rappresentano il seme caduto lungo la strada e divorato dagli uccelli. Un secondo gruppo, raffigurato dal terreno roccioso dove il seme non mette radici e viene bruciato dal sole, descrive le persone incostanti che ricevono con entusiasmo l’annuncio del Regno, ma alla prima difficoltà si scoraggiano, perché questo annuncio non si è radicato nella loro vita e per questo desistono e abbandonano la fede.

Un terzo gruppo è descritto come terreno ricco di spine, dove il seme viene soffocato e non può crescere: esso rappresenta coloro che, presi dalle preoccupazioni di questo mondo, si lasciano sopraffare da esse a tal punto da far soffocare l’annuncio del Regno, la cui priorità è appunto scalzata dalle apprensioni per i miraggi dell’autorealizzazione di sé come il potere, il denaro, il sesso. Il quarto gruppo, invece, è rappresentato da un terreno definito buono, perché capace di portare frutto: esso rappresenta, secondo il Signore, coloro che ascoltano la parola, la comprendono e portano frutto secondo la loro capacità.

Dio confida nella disponibilità dell’uomo

Da una parte, dunque, le parole di Gesù indicano la grande responsabilità affidata a ciascuno nell’accogliere e custodire la parola di Dio e, dalla’altra, ricordano come il seme venga universalmente sparso e comunque sempre gettato nella speranza che il terreno meno buono possa essere bonificato. Il Signore non si stanca mai di seminare ed è sempre pronto a donare la sua Parola anche se può sembrare inutile per l’aridità del terreno.

Dio ci dimostra così tutta la sua fiducia nel fatto che comunque vi sarà il terreno capace di accogliere il seme e di portare frutto. E’ evidente che anche se questa parabola è direttamente indirizzata all’uditorio sul lago di Galilea, viene ora consegnata alla nostra vita con la stessa urgenza e importanza. Le singole tipologie di terreno, descritte da Gesù, non possiamo comprenderle in modo assoluto, cioè come se fossero dei compartimenti stagno rigidi, ma lungo il percorso della nostra vita possiamo trovarci in queste varie esperienze: spesso le prove che vengono dal Maligno e di cui sentiamo il peso o addirittura nelle quali a volta cadiamo ci impediscono di accogliere l’annuncio della parola di Dio.

In altre occasioni l’aridità del nostro cuore e della nostra fede ci rende incostanti e i nostri programmi, le nostre facili promesse di conversione, si traducono spesso in castelli di sabbia abbattuti alla prima onda. Inoltre, facciamo esperienza delle distrazioni che vengono dalle spine delle preoccupazioni e che spesso arrivano a sottrarci tempo ed energia rendendoci nervosi, distratti, irrequieti sino a portarci a sostituire il primato della Parola con l’ossequio agli idoli che ci siamo costruiti noi stessi.

Però è anche vero che il Signore ci dona la grazia di sperimentare la bellezza dell’esperienza del terreno buono, quando riusciamo a portare a frutto la Parola ascoltata e accolta nella nostra vita, facendoci strumento dell’amore e della misericordia del Signore. Al tempo stesso la parabola diventa un monito a saper custodire il dono prezioso ricevuto nell’annuncio della Parola: diverse sono le prove e le difficoltà che si possono incontrare, ma sono nulla in confronto ai frutti che si possono produrre nel rendersi terreno buono.

Il dono universale della Parola da parte del Signore ci porta a comprendere infine come ogni uomo è chiamato a questo servizio, ad ascoltare l’annuncio e far sì che cresca mettendo forti radici nella vita e nel cuore. Nessuno è escluso da questo dono, ma l’instancabile azione del seminatore ci conforta e ci dimostra come il suo amore e la sua attenzione premurosa sono per tutti coloro che danno priorità alla parola di Dio nella loro vita, rendendola efficace e feconda nella quotidianità, secondo la chiamata ricevuta e le capacità donate dal Signore stesso.                      

Bibliografia consultata: Corini, 2017.

Redazione

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