“Non sia turbato il vostro cuore” (Gv. 14, 1). Nel suo discorso di addio, Gesù ha affermato che lascerà i suoi discepoli per tornare dal Padre. L’invito a non lasciarsi prendere dal turbamento è rivolto ai discepoli all’inizio e alla fine del c. 14. Gesù invita a superare la paura mediante la fede: “abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (v. 1). Questo invito non giustappone atti di fede relativi a persone diverse: la fede in Gesù non è altro che la fede nel Dio che opera per mezzo di lui. I discepoli sono turbati a causa dell’annuncio della partenza di Gesù. Questo invito era stato preceduto da una parola molto importante in cui viene consegnato ai discepoli il comandamento nuovo. L’amore reciproco dei discepoli sarà l’espressione del credere. Esso rende possibile ai discepoli di superare il proprio turbamento perché nell’amore reciproco potranno riconoscere che Gesù, assente, è in realtà presente e agisce in loro.
“Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore” (v. 2). Le dimore nella casa del Padre e l’abitarvi è l’esperienza attuale del credente, il quale in un legame profondo con il Cristo risorto si trova in un rapporto personale, duraturo, che muterà nelle circostanze esterne a causa della morte, ma non nel suo rapporto essenziale e qualitativo. Si tratta di una presenza di Cristo ai suoi, come non lo era prima: con l’atto d’amore di donazione di sé è andato verso il Padre, svelando una volta per sempre il volto di Dio e come dobbiamo accedervi, seguendo le orme del Maestro.
“Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”, domanda Tommaso (v. 5). Gesù ribadisce che il problema non è di sapere dove si va, ma di camminare sulla giusta via e questa via è Gesù quando compie il gesto della lavanda dei piedi. Se vi amerete gli uni gli altri “come”, ossia con lo stesso amore con cui io ho amato voi, conoscerete il Padre presso il quale sto ritornando.
“Gli disse Gesù: Io sono la via, la verità e la vita” (v. 6). Gesù sta per percorrere una via che sfocia nella passione, una via che non percorre “da solo”, ma in compagnia del Padre. Ci rivela, così, che in lui vi può essere solo amore, amore che si dona, amore che si diffonde, che contagia suscitando una circolarità di amore tra coloro che accettano di percorrere la sua stessa via. Solo questa scelta conduce ad una vita degna di essere chiamata tale: in realtà, colui che afferma di essere la “vita” è colui che sta andando verso la morte. La comunità dei discepoli può essere continuamente rassicurata: la via che percorre nella sequela di Gesù, è una via lungo la quale si giunge certamente al Padre.
L’affermazione di Gesù non lascia dubbi. Essere cristiani non significa solo apprezzare i suoi gesti, ammirare le sue idee, manifestare entusiasmo per la sua testimonianza. Chi accetta di avere un rapporto molto più profondo con lui, un rapporto che cambia la sua esistenza, le parole di Gesù si innervano direttamente sulle sue scelte, sui suoi atteggiamenti, sul suo modo di vivere quotidiano, al punto che lui, Gesù, diventa il criterio di ogni decisione, il riferimento nei momenti cruciali.
“Io sono la via”. Di strade ce ne sono molte: tanti sono i sentieri che si imboccano per raggiungere la felicità, per trovare un benessere interiore o solo materiale. Gesù non si propone come una delle strade, ma come la “strada”. Pretesa esorbitante, richiesta eccessiva la sua? Per quanto possa apparire banale, si deve osservare che non è possibile imboccare che una strada alla volta e che, di necessità, tutte le altre devono essere lasciate da parte. Ma Gesù non vuole neppure essere considerato una strada da imboccare di tanto in tanto, una corsia di emergenza, per i momenti difficili. Esige una scelta senza rimpianti, senza tentennamenti. Del resto solo se si percorre questa strada che è lui stesso, si può trovare la felicità, la vita in pienezza.
“Io sono la verità”. Essere cristiani vuol dire lasciarsi illuminare da Gesù, lasciare che la propria vita sia interpretata e letta dalla sua parola. Operare un confronto continuo con quello che lui ha fatto, con i suoi atteggiamenti, con il suo insegnamento. Poniamoci sempre questa domanda, allorché dobbiamo prendere una decisione importante: cosa farebbe Gesù al mio posto? Certo, la risposta non la si trova sempre in una frase del Vangelo. Dobbiamo necessariamente passare attraverso una interpretazione e fare appello alla saggezza che si nutre della parola di Dio. Ma non possiamo neppure limitarci a fare quello che ci piace, a quello che è più opportuno, a quello che attira l’approvazione della maggioranza: tutti criteri che col Vangelo non hanno molto da spartire.
“Io sono la vita”. E’ solo una promessa che riguarda la vita eterna, o è una realtà fin d’ora, fin da quaggiù? Io credo che Gesù diventi per il discepolo, in modo crescente, la sorgente della vita: colui che trasmette la sua stessa vita, che fa fluire dentro le nostre giornate la sua limpidezza, la sua pace, il suo coraggio, la sua compassione, la sua tenerezza, il suo amore, la sua misericordia. Naturalmente questo accade solo se ci si affida a lui, se si ripone in lui una fiducia a tutta prova. Non se lo si considera alla stregua di una polizza d’assicurazione, da tirar fuori solo in caso di bisogno. Gesù è la vita che, attraverso l’amore, vince il potere del male e fa di me un figlio di Dio.
Bibliografia consultata: Nason, 2017; Laurita, 2017.
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