Il Vangelo di Matteo si conclude con una dichiarazione di potere che Gesù ha ricevuto dal Padre, con un mandato missionario e con una promessa pronunciati su un monte (Mt. 28, 16-20).
“Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato” (v. 16). I riferimenti alla Galilea e al monte evocano nel lettore molti ricordi. La Galilea è il luogo che richiama gli inizi della storia di Gesù e della comunità dei discepoli. E’ il luogo in cui Gesù aveva annunciato il raduno dei suoi discepoli dopo la dispersione provocata dalla passione, anche se Gesù non aveva indicato un monte preciso. La missione di Gesù era iniziata su un “monte altissimo” dove egli aveva rifiutato la proposta messianica ispirata dal diavolo, che gli offriva un potere su tutti i regni del mondo.
Subito dopo, infatti, Gesù aveva scelto la “Galilea delle genti” come luogo dell’annuncio del Vangelo e dei gesti di guarigione, lasciandosi ispirare da una profezia di Isaia. Il richiamo alla Galilea come luogo abitato dalle genti preparava la missione dei discepoli all’annuncio del vangelo a “tutte le genti”. La missione di insegnare affidata ora ai discepoli ci richiama alla mente il “discorso della montagna” che Gesù rivolge alle folle e ai discepoli. Anche un altro monte ritorna alla mente, quando Gesù compie la “moltiplicazione dei pani e dei pesci”. Un ultimo ricordo è quello della “Trasfigurazione”, l’alto monte della Galilea, dove Gesù anticipa la rivelazione nella sua gloria di Risorto.
“Quando lo videro, si prostrarono: essi però dubitavano” (v. 17). Ci aspetteremmo un’intensa esperienza pasquale, invece l’evangelista delude la nostra attesa. I due verbi che egli usa per sottolineare la reazione dei discepoli alla vista del Signore, denotano un contrasto: “prostrarsi” e “dubitare”. Il primo verbo esprime un gesto di omaggio, che nel caso di Gesù comprende l’adorazione. Come può questo gesto convivere con il dubbio? Questa ambivalenza rientra nel tema della “poca fede”. Nonostante la comprensione il discepolo è colui che talvolta non sfugge al dubbio. La “poca fede” è dunque un momento di incredulità nella vita del discepolo: essa caratterizza il discepolo la cui fede non resiste alla prova; la paura nella prova è più forte della fiducia che essi hanno in Gesù.
“Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (v. 19). Troviamo ora una dichiarazione (“a me è stato dato ogni potere”), seguita da un mandato missionario (“andate”) e da una promessa (“sono con voi tutti i giorni”). Il termine “potere”, nel vangelo, accompagna la parola e i gesti di Gesù e richiama alla mente la visione riguardante la figura del “figlio dell’uomo” del profeta Daniele (7, 13-14). Il mandato missionario è formulato dai verbi “andate”, “battezzate”, insegnate”. Il “fate discepoli” richiama l’esperienza di coloro che per primi hanno seguito Gesù, accogliendo la sua chiamata, e che costituiscono gli uditori privilegiati dei suoi discorsi. Il gruppo dei primi discepoli diviene il modello nel quale sono chiamati a riconoscersi i discepoli di ogni epoca della storia. E poiché il Risorto rende normativo ciò che ha insegnato il Gesù terreno, si diventa discepoli mettendosi in ascolto e alla sequela del Gesù terreno come i primi discepoli.
“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Il vangelo di Matteo era iniziato con la spiegazione del nome di Gesù, “l’Emmanuele”, il “Dio con noi”, e ora l’ultima parola del Risorto ai suoi discepoli è la promessa che Egli sarà “con i suoi” fino alla fine del mondo. Il tema dell’Emmanuele mostra che Matteo è consapevole, alla luce delle Scritture, che la presenza di Dio si può solo raccontare e testimoniare: non si può esprimere adeguatamente in concetti.
Andate…Io sono con voi! Visto che si dovrà affrontare il mare aperto, che si dovrà andare ai quattro angoli della terra a portare la buona notizia, tanto vale mettersi già in posizione di partenza. Di una partenza, infatti, si tratta. Di uno stacco dalla terra che hanno percorso insieme, Maestro e discepoli, verso le terre più lontane, tra popoli che parlano lingue diverse e hanno culture molto differenti tra loro. Questo “andate” verso tutte le nazioni appartiene alla natura della Chiesa. Un verbo di movimento che richiama continuamente tutti coloro che hanno la vocazione dei sedentari, tutti quelli che vorrebbero fermarsi per contarsi, per lasciarsi afferrare dalla memoria e innalzare delle barriere di fortificazione.
No, non è questo che Gesù chiede ai suoi. L’immagine del cristiano non è quella di chi apre il Vangelo e si immerge nella lettura, sprofondando nella comoda poltrona, con i piedi infilati nelle pantofole. Il Vangelo è un libro di viaggio, da aprire per strada, da far trasparire nel cammino di ogni giorno, quello che si intraprende assieme a uomini e donne di ogni età, provenienza, tradizione. Il Vangelo è fatto per cambiare la realtà, per destare e far affrontare la strada, con tutti i suoi pericoli e le sue sorprese.
Missione rischiosa? Certo. Ne sanno qualcosa i missionari e le missionarie di ogni tempo. Bisogna veramente mettere in conto tutto: i processi, le battiture, il carcere, le malattie, l’isolamento, l’incomprensione, la calunnia. Tutto! Missione impossibile? No! Gesù non è uno che lancia in imprese sconsiderate. Affida un compito, ma assicura anche una presenza: “Io sono con voi”. E’ qui che riposa la fiducia, la serenità, la bontà che accompagnano i messaggeri del Vangelo anche nei frangenti più drammatici. E’ la certezza di non essere in balìa del caso, nelle mani della cattiveria e della violenza umana, ma accompagnati, seguiti a vista d’occhio, sostenuti e preceduti dal Signore Gesù.
Bibliografia consultata: Nason, 2017; Laurita, 2017.
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