Religione, La crescita del Regno di Dio
di Il capocordata
Il brano di questa domenica XI del Tempo ordinario (Mc. 4, 26-34) riporta le ultime parabole e la conclusione di tutto il discorso in parabole del Maestro. Questo discorso illustra l’argomento centrale dell’annuncio di Cristo: il Regno di Dio. Chi legge può provare un senso di delusione, perché l’illustrare o l’argomentare per parabole non chiarisce, anzi tende a rendere più complicato l’oggetto del discorso, né consola molto sapere che ai discepoli Gesù spiegava ogni cosa (v. 34).
E’ anche vero che, se la contiguità con gli eventi immediatamente precedenti, narrati da Marco nel capitolo terzo (“è fuori di sé”, “è posseduto da uno spirito impuro”), è storicamente plausibile, essa costringe in qualche modo Gesù a velare il proprio discorso di enigmi e parabole, per forzare uditori pervicacemente refrattari ad accogliere il suo messaggio.
Inoltre, l’argomento stesso, il Regno di Dio, non poteva essere esaurito da una qualsiasi presentazione esaustiva; in questo caso la parabola si rivela paradossalmente il modo più adatto per parlare di ciò che non si riesce mai a dire del tutto. Comunque, un risultato positivo emerge quasi spontaneamente, e con chiarezza, dalla successione dei racconti e dalla scelta dei loro argomenti: il regno di Dio è forte, porta con sé una vita prorompente.
Lo sguardo al contesto permette di cogliere lo svolgimento globale del discorso, il duplice tema che Gesù intende proporre: innanzitutto il Regno (nella figura del “seme”) e il suo prodigo seminatore si fanno vicini indipendentemente dalle risposte del terreno. Nondimeno, Gesù chiede ai suoi discepoli l’adesione dei loro cuori, così che essi possano aprirsi alla comprensione del mistero del Regno.
La forza misteriosa del seme
E’ in questa cornice che trovano il loro risalto le ultime due parabole, nelle quali protagonisti sono di nuovo dei semi. Questa volta però l’accento non viene posto sulla necessaria accoglienza da riservare al seme (la parabola del seminatore), ma sulla forza misteriosa di quest’ultimo, che il contadino deve solo accompagnare, anche se non capisce del tutto l’intima logica. “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (vv. 26-27). E’ il compimento dell’invito ad accogliere, a credere, a cambiare mente e a entrare nel Regno. L’obbedienza paziente alla parola annunciata sembra arida all’inizio, ma essa mette il seme nella condizione di germinare e di esprimere da sé tutta l’energia di vita che possiede.
Inoltre, se da una parte il terreno deve fornire al seme il meglio di se stesso, con una scelta perseverante e decisiva (che tagli alla radice la possibilità di accogliere e lasciar crescere seminagioni aliene), d’altra parte il contadino non ha molto da fare per accompagnare la crescita della pianta fino alla mietitura.
In primo luogo perché non ha tutte le conoscenze necessarie; in secondo luogo perché tale crescita avviene in modo indipendente da lui: anche se si impegna, non riesce a riconoscere i movimenti di una pianta che cresce, si riesce solo a registrare i cambiamenti avvenuti. L’unica cosa che ci si aspetta dal contadino è che quando la messe è matura egli usi la falce immediatamente, senza aspettare: un forte vento o una grande pioggia potrebbero far cadere le piante di grano e rovinare tutto il raccolto. “E quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura” (v. 29).
Il mistero del Regno
Il regno di Dio “è come un granello di senape che…è il più piccolo di tutti i semi…ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante” (vv. 31-32). Quanto alla parabola del granello di senape, l’apporto del contadino si riduce a zero: Gesù racconta del contrasto tra la piccolezza del seme e la grandezza dei rami cresciuti, che si fanno casa per gli uccelli del cielo.
In queste due ultime parabole il ruolo dell’uomo cambia: diventa in qualche modo il custode del seme che cresce, e anche discepolo. Si tratta di lasciarsi guidare, di saper individuare le esigenze che la pianta manifesta, in qualche modo realizzandole al posto suo in un sapiente dosaggio di azione e inazione: il grano non può mietersi da sé, ma se non si miete al momento giusto il raccolto si perde; e al contrario se l’uomo taglia i rami, gli uccelli non possono più fare il nido sulla grande pianta della senape, pur disposta ad accoglierli.
Cogliere il significato delle parabole va di pari passo con il cogliere la valenza parabolica della totalità della vicenda di Cristo. In lui il Regno prende forma visibile, si incarna e si realizza. All’origine della missione di Cristo c’è l’azione divina e di conseguenza accresce la consolazione e l’entusiasmo nel dedicare al Regno tutto l’impegno e l’attenzione del cuore.
La forza e la vitalità del Regno si impongono in modo misterioso, seguendo logiche che sfuggono alla comprensione, e in modo indisponibile, mediante uno sviluppo ingovernabile e incontrollabile da parte dell’uomo. L’origine completamente gratuita di questo movimento, la spontaneità imprevedibile aprono allo stupore e alla meraviglia. Nello stesso tempo l’azione di Dio nella storia assume i tratti della presenza discreta (la piccolezza del seme), per cui è necessario affinare lo sguardo per coglierne le promesse di vita. Il campo di Dio è il mondo, il suo Regno cresce dentro le vicende della storia. All’uomo, al credente tocca l’impegno della contemplazione e della cura affinché la promessa cominci a realizzarsi.
Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Orizio, 2018.