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Religione, La fede degli apostoli aumenta la nostra fede

Le parole contenute nel nostro brano (Lc. 17, 5-10) sono rivolte ora agli apostoli; esse segnano il passaggio ad un argomento fondamentale: la crescita della loro fede. Infatti, la missione degli apostoli consiste nel chiamare giudei e pagani alla fede “fino ai confini del mondo”. E si rivolgono a Gesù chiamandolo “Signore”, perché solo il Risorto può aggiungere fede nell’animo degli apostoli. Dio soltanto apre ai pagani la porta della fede e con essa purifica i cuori, solo il Signore dà ravvedimento a Israele come ai pagani: è Dio che Gesù ha pregato perché la fede di Pietro non venisse meno. Essi chiedono a Gesù un aumento della loro poca fede, che li fa sentire inadeguati al loro compito.

Ma di quale fede si parla? C’è una sola fede, che consiste nell’accogliere la parola del Vangelo e nell’impegnarsi nei confronti di Gesù. La fede è un dono del Signore Gesù che tutti devono domandargli. La fede è l’esperienza personale della misericordia del Padre, origine della missione ai fratelli. Non è questione di quantità, ma di qualità. Va chiesta come il pane quotidiano e il perdono. Con essa si ottiene tutto; tutto infatti è possibile per chi crede, perché nulla è impossibile a Dio.

“Se aveste fede quanto un granellino di sènapa…” (v. 6). Senza rispondere esattamente alla loro domanda, Gesù proclama la potenza della fede: per piccola che essa sia, il credente può con una sola parola sradicare un sicomoro e trapiantarlo nel mare. La fede è come un seme piccolo, ma con forza vitale. Per essa “tutto posso in colui che mi dà forza” (Fil. 4,13), perché la mia impotenza si riempie della potenza stessa di Dio. Credere è smettere di confidare in sé e lasciare che sia lui ad agire. Per questo “quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor. 12, 10).

E’ forte il contrasto tra il più piccolo di tutti i semi e il sicomoro, il tipo dell’albero non sradicabile. Occorre precisare che non si tratta di dare una ricetta per fare dei miracoli: Gesù non ha mai trapiantato un sicomoro nel mare, ha fatto miracoli solo per salvare, mai per presentare qualche meraviglia inutile e assurda. La sua parola ricorre qui ad un’immagine paradossale: niente è impossibile alla fede. E quando Luca riferisce  questa frase rivolta agli apostoli, pensa sicuramente all’efficacia della loro fede che ha già riempito il mondo con la predicazione del Vangelo.

“Chi di voi…” (vv. 7-10). Gli apostoli possono attribuirsi il merito di questa efficacia della loro fede? L’evangelista ha già mostrato che è da Gesù che essi attendono l’aumento della fede. La parabola che segue prolunga la lezione del primato della grazia. Al centro della parabola c’è uno schiavo che, per la cultura del tempo, è proprietà del suo padrone, di fronte al quale non ha alcun diritto. Quando ha fatto il suo lavoro non ha niente da aspettarsi, né salario né riconoscenza: qui è il culmine della parabola.

“Così anche voi…” v. 10) . Come lo schiavo appartiene al suo padrone, così l’apostolo al suo Signore che gli dà la libertà di essere come lui, suo collaboratore, associato al suo ministero. Questa schiavitù per amore è la liberazione totale “dall’egoismo, mediante la carità che ci fa schiavi gli uni degli altri” (Gal. 5, 13). La sua applicazione è rivolta agli apostoli: quando avranno compiuto tutto il loro dovere, si considerino come servi “inutili”, cioè “senza utile”, senza guadagno. Significa che non facciamo il nostro lavoro per guadagno o per utile, ma per dovere e gratuitamente: semplicemente perché siamo suoi e apparteniamo a lui. Lo schiavo, dopo tutto il suo sforzo, non ha alcun diritto da far valere davanti al suo padrone. Il ministero apostolico è di sua natura gratuito, perché rivela la fonte da cui scaturisce: ”gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt. 10, 8).  

Nel momento in cui Luca scrive, gli apostoli hanno fondato la chiesa. La loro azione e la loro parola hanno portato frutti in tutto l’ambito del Mediterraneo. Questo risultato è il frutto della loro fede. Forza apparentemente ridicola come il granello di sènapa, essa ha tuttavia incominciato a trasformare il mondo. Soltanto Gesù ha potuto risvegliarla con la sua venuta e con la sua parola; dopo la sua risurrezione, resta ancora il solo che possa suscitarla e aumentarla. Gli apostoli l’hanno riconosciuta e proclamata: tutta l’efficacia della loro opera viene da lui e non da loro. Ora gli apostoli non ci sono più, e Luca presenta questa lezione a coloro che hanno ereditato la loro fede: che siano persuasi della sua efficacia, la chiedano umilmente, e riconoscano nei suoi frutti l’azione del Signore.

La fedeltà del buon servitore è reale, sarà ricompensata; ma essa non esiste che per l’iniziativa del Signore che la chiama, la suscita, la guida e la porta a compimento. Davanti a Dio, il discepolo non cerchi di far valere i suoi diritti come il fariseo (Lc. 18, 11-12). Si affidi totalmente alla grazia. E’ precisamente l’atto delle fede che si ottiene nel credere a Cristo Gesù: è la giustificazione mediante la fede, predicata dall’apostolo Paolo. La fede, dunque, è la vita di ogni discepolo: ciascun credente deve riconoscere in essa un dono del Signore; pregare perché cresca; e, pur restando sicuro della sua potenza, attribuire sempre al Signore la sua efficacia.   

Bibliografia consultata: George, 1976; Fausti, 2011.

Redazione

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