Certamente una inquietudine spinge Giovanni Battista, ormai in carcere per mano di Erode, a mandare degli emissari da Gesù per avere la conferma che è lui il Messia che deve venire. Egli stesso aveva indicato Gesù come “uno più forte di lui”, ma finora queste aspettative si sono realizzate solo in parte. I segni offerti da Gesù sono contraddittori: grandi portenti come taumaturgo sui malati, ma molta (troppa) tolleranza verso i peccatori. Gesù operava quei prodigi preannunciati dai profeti (Is. 29, 18), ma solo in parte: i sordi riacquistano l’udito, i prigionieri sono liberati e i ciechi tornano a vedere.
Il testo di Isaia, infatti, prosegue con il giudizio del tiranno e dell’arrogante, e “saranno eliminati quanti tramano l’iniquità” (Is. 29, 20). Di questi interventi punitivi non c’è traccia nella missione di Gesù. Non che nel Vangelo di Matteo il giudizio non abbia importanza, ma è rimandato a un tempo futuro, quando la zizzania sarà separata dal grano e i pesci cattivi saranno buttati via (Mt. 13, 30.48).
Gesù offre come garanzia di autenticità ciò che i discepoli hanno ascoltato e visto. L’ascolto fa riferimento all’evangelizzazione dei poveri, la visione ai miracoli di cui beneficiano i malati. Sono questi i tratti distintivi del ministero di Gesù. Questo, però, non significa che i segni producano automaticamente la fede, anzi è beato chi non trova in lui motivo di scandalo. La qual cosa succederà in continuazione: ai suoi compaesani di Nazaret che non riescono a vedere in Gesù il Messia che li salva, ai farisei che non accettano di vedere rimesse in discussione le normative sul puro e l’impuro e infine ai discepoli che fuggiranno davanti al pericolo di condividere la stessa sorte del Maestro.
Ma più in generale qualunque discepolo che non abbia radice in sé e sia incostante, si arrende davanti alla tribolazione o alla persecuzione a causa della Parola. Giovanni Battista tiene duro e non si arrende perché la radice è buona. E se Giovanni poteva avere dei dubbi riguardo a Gesù, Gesù non ne ha alcuno nei suoi confronti: è il più grande tra i nati di donna. Dapprima lo distingue da ciò che attira l’attenzione della gente, con una probabile vena satirica nei confronti di colui che lo tiene prigioniero, quell’Erode Antipa che amava vestire con lusso e le cui piroette politiche potevano richiamare le canne piegate dallo spirare del vento. Quindi gli riconosce il titolo di profeta, specificando che è il più grande dei profeti, ma anche inferiore al più piccolo nel Regno.
In linea molto generica, un profeta era un uomo che parlava e agiva in nome di Dio, sovente accompagnando i suoi discorsi con segni portentosi che lo accreditavano come inviato divino.
Sebbene molti ritenessero Giovanni un profeta, non tutti gli riconoscevano questo titolo (cfr. lo storico giudeo Giuseppe Flavio). Al di là del dato esteriore dell’abbigliamento, c’è un legame profondo con lo Spirito fin dalle origini e la esplicita menzione della discesa della parola di Dio su di lui. In linea con i suoi gloriosi predecessori, egli è fustigatore dei costumi immorali e invita a più riprese al pentimento. In più, il suo messaggio è rivolto al futuro e a eventi che rappresentano una novità nella storia della salvezza, non il ricupero di un’epoca perduta. Giovanni si esprime con una autorità propria, la cui origine divina non era comunque messa in discussione. E questo fa di lui “più che un profeta” (v. 9).
Dichiarando che Giovanni è un profeta, Gesù lo inserisce in una tradizione di certo gloriosa, che tuttavia sta esaurendo il suo compito. Potremmo dire che la grandezza di una persona, secondo Gesù, è data da elementi intrinseci ed estrinseci. Da un lato ci sono le virtù personali che vengono valutate in senso assoluto. E dall’altro c’è la relazione con Gesù, dove si è tanto più grandi quanto più gli si è vicini. Giovanni è al vertice della moltitudine che ha preparato la venuta del Regno, ma la sua posizione resta inferiore a quella di chi è già dentro.
Il Messia, il Figlio di Dio è venuto per salvare, non per giudicare e castigare. Conosce le nostre debolezze: sa che non abbiamo la forza per liberarci dal male, dalle malattie endemiche che ci rendono fragili. Ecco perché ci usa la medicina della misericordia, che guarisce nel profondo le nostre infermità, risana le zone inquinate della nostra esistenza, riporta l’intelligenza, il cuore e la volontà a una nuova vitalità. In una parola: non ci fa vergognare del nostro stato pietoso, ma ci fa intravvedere la possibilità del tutto inedita di una vita buona e bella, feconda di frutti.
Il Battista immagina il Messia come una scure che si abbatte inesorabile sull’albero che non porta frutti di bontà e tu, Gesù, invece perdoni e rialzi e sei preoccupato non di condannare il passato, ma di aprire un futuro nuovo. Ma questo non finirà col disorientare la gente che rispetta i comandamenti e si comporta con onestà e rettitudine? Sei tu veramente il Messia oppure bisogna attenderne un altro? E tu non esiti a qualificare Giovanni come un profeta autentico, tutto d’un pezzo. Sì, Gesù, anche il profeta fedele ha bisogno continuo di conversione!
Bibliografia consultata: Carrega, 2019; Laurita, 2019.
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