Il motivo che spinge Gesù al Giordano (Mt. 3, 13-17) per farsi battezzare da Giovanni Battista non è legato all’effetto del rito (un rito penitenziale di conversione), ma una sorta di mutuo riconoscimento tra lui e il Battista. La visita di Gesù costituisce un’approvazione formale dell’opera e del messaggio di Giovanni; ma anche Giovanni conferisce onore a Gesù, riconoscendo di avere bisogno di essere battezzato da lui e quindi ammettendo la sua superiorità (v. 14).
Lo zelo con cui Giovanni vorrebbe opporsi alla richiesta di Gesù di essere battezzato parrebbe encomiabile, ma sappiamo dai vangeli che questa forma di opposizione non incontra l’approvazione divina. Ricordiamo i rimproveri di Gesù ai discepoli quando vogliono impedire che i genitori presentino i bambini a Gesù o bloccare l’attività esorcistica di un tale che non fa parte del loro gruppo. Non si può arrestare la storia, meno che mai quella della salvezza. Giovanni Battista comincia a palesare la sua difficoltà nel comprendere Gesù, un turbamento che diverrà ancora più serio quando dal carcere manderà degli inviati da Gesù per chiarirgli i dubbi che si addensano nel suo cuore e gli impediscono di riconoscere nel mite predicatore galileo quel Messia portatore di giustizia che aveva preannunciato.
L’immersione di Gesù nel Giordano (v. 13) è un abbassamento fisico che rispecchia un’umiliazione spirituale, una logica che non è affatto semplice da accogliere e che genera delle comprensibili resistenze. E’ lo stesso atteggiamento che troviamo in Pietro in occasione della lavanda dei piedi, un contesto non per nulla battesimale anche in quella circostanza, dato dal riferimento al bagno che rende mondi. Pietro che non accetta l’abbassarsi di Gesù a compiere un gesto servile e Giovanni che vuole impedire l’accesso a un rito di espiazione sono espressioni della reticenza umana davanti alla logica di Dio.
Ma a nessuno dei due viene data una spiegazione chiara del motivo per cui si deve procedere, l’illuminazione su questo viene demandata a un periodo successivo: “Lascia fare per ora” (v. 15) e “Quel che faccio ora tu non lo capisci, ma lo capirai dopo” (Gv. 13,7).
“Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia” (v. 15). La risposta di Gesù all’obiezione di Giovanni appare piuttosto enigmatica, perché non è chiaro che cosa significhi compiere ogni giustizia. Per l’evangelista Matteo vuol dire vivere in maniera religiosamente corretta, secondo la volontà di Dio. Gesù sta dicendo che il suo presentarsi in coda ai peccatori corrisponde a ciò che Dio gli chiede. Presentandosi al Giordano Gesù dà compimento alle profezie che riguardano il messia e compiendo le profezie compie ogni giustizia.
Il gesto di Gesù contribuisce anche a delineare quella figura di Messia umile che emerge a più riprese nel vangelo, definendosi “mite e umile di cuore”. Come reagisce il Padre a questa umiliazione del Figlio? Per comprendere meglio lo scenario potrebbe essere utile rifarsi al celebre inno cristologico di Fil. 2, 5-11, dove si applica il medesimo schema: il Figlio prende un’iniziativa di abbassamento a cui il Padre replica con un ulteriore innalzamento.
Nella scena del Battesimo Gesù si umilia ricevendo da Giovanni un rito di cui non avrebbe bisogno e rinuncia in pubblico a quell’onore che gli spetterebbe. Il Padre gli restituisce questa dignità attraverso un triplice intervento. In primo luogo spalanca i cieli: “ed ecco, si aprirono per lui i cieli” (v. 16), un segno simbolico che evoca l’iniziativa di Dio a favore del suo popolo. Successivamente invia il suo Spirito su di lui per investirlo della sua piena autorità e farne l’annunciatore della venuta della salvezza: “ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui” (v. 16). Infine garantisce con una voce proveniente dal cielo che colui che sta dinanzi a loro è il suo figlio amato in cui ha posto il suo compiacimento: “Ed ecco una voce dal cielo che diceva: questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (v. 17). Dopo la voce di Giovanni Battista e quella della Scrittura a testimoniare a favore di Gesù, quella del Padre è la voce più autorevole: il Dio che ha suscitato il profeta nel deserto e ha ispirato i testi sacri, ora riconosce direttamente in Gesù il suo figlio.
Con il suo battesimo Gesù dà inizio alla sua predicazione pubblica. Mescolato alla folla dei peccatori che vanno da Giovanni Battista, egli può essere confuso come uno di loro, anche se in lui non c’è traccia alcuna di peccato. Uomo tra gli uomini, egli viene riconosciuto come il Figlio, venuto a realizzare il progetto di amore che il Padre gli ha affidato. Con la forza, con la saggezza che gli vengono dallo Spirito. Viene per offrire misericordia, non per condannare; viene per rialzare chi vacilla, non per abbattere chi è fragile e debole. Viene a portare un annuncio di gioia, non la notizia del giudizio imminente. Le sue parole e le sue azioni saranno una consolazione e una speranza per tutti i poveri, i malati, i prigionieri del male che lo incontreranno. Se il Figlio si è fatto uomo è proprio per questo: per condividere la nostra vita e trasfigurare le nostre esistenze.
Bibliografia consultata: Carrega, 2020; Laurita, 2020.
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