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Religione, la Parola si è fatta carne

I racconti dell’infanzia di Matteo e di Luca narrano cosa è successo a Natale, il prologo di Giovanni (1, 1-18), invece, qual è il suo significato. Dopo aver assimilato i dettagli storici della nascita del Salvatore, i credenti usufruiscono di questo tempo liturgico per approfondire la portata di quanto è avvenuto a Betlemme in relazione con ciò che precede e con ciò che ci attende. Il prologo preannuncia alcuni temi ed eventi che verranno ripresi all’interno della trama e la trama a sua volta presenta situazioni che possono essere giudicate solo alla luce delle affermazioni contenute nel prologo.

Gesù è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (v. 9)

Per arrivare a comprenderlo il cieco nato ha dovuto affrontare parecchie peripezie e il buon Nicodemo non è riuscito a risolvere questo enigma neppure dopo un serrato confronto con Gesù. Ma a noi son bastati appena nove versetti per arrivare a questa soluzione. Il merito è solo dell’evangelista Giovanni che ci ha messi a parte di questa informazione riservata. Certo è che da qui in avanti il nostro sguardo su Gesù cambia. Se l’impressione che egli poteva suscitare nei suoi interlocutori era quella di una persona autorevole, che parlava come nessun altro e che poteva compiere prodigi impossibili per chiunque, al punto da instillare nella donna samaritana il dubbio che possa essere lui il Messia, per noi lettori e ascoltatori queste definizioni sono ora del tutto insoddisfacenti, perché conosciamo la sua origine divina e la sua opera nella creazione del mondo.

Il Verbo eterno si è fatto carne (v. 14)

“E il Verbo si fece carne”: qui si dice che quel Verbo che esiste da sempre e che è prima di tutte le realtà create, a un certo punto è entrato nella storia facendosi carne. Questa asserzione di certo fece molta impressione sui contemporanei dell’evangelista. Se spingiamo il nostro sguardo fino alle lettere giovannee, che riflettono gli sviluppi successivi delle comunità che raccolsero la tradizione del Discepolo amato, non possiamo fare a meno di notare che l’assunzione di una vera carne da parte del Verbo divino suscitò il rifiuto ad accettare questa realtà.

Per attenuare lo scandalo, infatti, alcuni sostenevano che l’incarnazione fosse soltanto apparente e siccome in greco il verbo “apparire” è espresso con “dokeo”, quella corrente eretica venne definita “docetista”. L’idea di una mescolanza tra la santità di Dio e l’impurità della carne faceva inorridire alcuni credenti, ma Giovanni non ha alcun imbarazzo di fronte a questo mistero, forte del fatto che ciò che viene assunto viene anche redento.

La conseguenza è che coloro che hanno incontrato il Cristo hanno fatto un’esperienza diretta di Dio, la qual cosa invece venne negata a Mosè che dovette accontentarsi di vedere le spalle del Signore mentre passava. Invece, l’incontro con Cristo rappresenta la visione sostenibile di questa gloria divina. Nel prologo si afferma che il Figlio è il rivelatore di quel Dio che nessuno ha mai visto (v. 18): egli, infatti, “è nel seno del Padre” (v. 18) e ha la possibilità di una conoscenza intima.

Gesù non è solo il messaggero, ma il messaggio stesso

Gesù non si limita a riportare un messaggio come farebbe un angelo (messaggero), ma è il messaggio stesso e la sua corretta interpretazione. Se Gesù è il Verbo, cioè la Parola di Dio, è chiaro che viene proferita per illuminare un mistero. Ma proprio perché il suo contenuto è particolarmente elevato, non possiamo illuderci che la sua comprensione sia intuitiva e che sia sufficiente un ascolto superficiale per appropriarsi del suo oggetto. Nel vangelo di Giovanni sono frequenti gli episodi in cui le parole di Gesù vengono fraintese dai suoi interlocutori perché non sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Ed è Gesù stesso a ribadire che i concetti più complessi, quelli di cui anche i discepoli non sono in grado di portare il peso, diventeranno comprensibili solo con il concorso dello Spirito di verità, che li guiderà alla verità tutta intera.

Attendevamo il Potente, colui che viene con la forza di Dio! Ed è giunto a noi un bambino: è arrivato senza destare l’attenzione dei grandi, nella povertà e nella semplicità in una povera capanna. Attendevamo il Santo, colui che si mostrava distante dalla fragilità umana: ed è venuto un Dio che nasce e cresce, che impara a parlare e a camminare, che apprende un lavoro. Non è venuta solo la Parola. Dio ha voluto che la sua Parola diventasse carne umana: è questo il mistero del Natale. Dio prende carne, Dio diventa uno di noi, Dio accetta di ferirsi, di lacerarsi, addirittura di morire per cambiare la nostra vita.

Ed è qui la consolazione che il Natale porta a ognuno di noi. Nessuno da quel giorno può dirsi solo, abbandonato al suo destino, alla sua miseria, alla sua pena. Perché Dio è venuto proprio per lui. Ed è qui la speranza del Natale. Questa storia non è più solo la nostra storia di uomini, storia intrisa di lacrime e di sangue, di dolore e di fatica, ma è la stessa storia di Dio, perché qui, tra noi, Dio ha piantato la sua tenda.

Gesù, la Legge era un dono di Dio per non restare prigionieri di illusioni come quelle fornite dagli idoli: ma non eravamo in grado di percorrerla. Ecco perché avevamo bisogno di te, della tua grazia che risana, che rimette in piedi e dona la forza di seguirti fino in fondo per condividere la croce e la risurrezione.                                                                                                             

Bibliografia consultata: Carrega, 2019; Laurita, 2019.

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