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Religione, la regalità di Gesù il Cristo

La lettura della passione secondo Giovanni (18, 33-37), nell’atroce sofferenza e nell’esclusione di Cristo da ogni rapporto con gli uomini e con Dio, evidenzia il paradossale risplendere, la gloria e il giudizio che attraverso di lui Dio opera sul mondo. In essa Giovanni mette in evidenza che colui che viene giudicato e condannato in realtà è il giudice, il segno di contraddizione davanti al quale vengono svelati i pensieri di molti cuori.

Il ruolo di Pilato

Durante il processo di fronte all’autorità di Roma entrano in gioco tre soggetti principali: Pilato, Gesù e la folla. Di particolare interesse è il ruolo di Pilato. Da una parte il procuratore non smentisce quanto la storia gli attribuisce: non solo un controllo e una repressione del popolo a volte brutali, ma anche la costante volontà di ironizzare sui Giudei e le loro credenze, nel tentativo di indurre in loro qualcosa di simile al rapporto disincantato che i Romani avevano con le loro divinità. D’altra parte, l’evolversi degli eventi smaschera la sua presunta sicurezza di dominatore e lo denuncia come vittima delle proprie paure, incapace di assumere la sua responsabilità davanti alla verità che pur chiaramente vede.

Di fronte a lui, e di fronte a una folla manovrata da nemici tanto ostinati quanto ciechi, sta il Cristo, fedele al padre, il quale lo dona all’umanità, accettando senza riserve quanto gli uomini faranno del suo Unigenito. Gesù cammina in perfetta unità con lui, come aveva fatto Isacco con Abramo (Gen. 22, 6.8): da una parte senza opporsi alla morte infame a cui lo condannano, dall’altra senza venir meno al suo dovere di rendere testimonianza alla propria identità di Figlio di Dio.

Il processo davanti a Pilato si svolge in sette momenti, scanditi dagli esterni di Pilato di fronte alla folla e ai capi, e dagli interni del pretorio dove parla con Gesù. Nelle quattro riprese in cui Gesù è oggetto della discussione tra Pilato e la folla si nota un crescendo: da accusato, imputato di colpa capitale, viene proposto come beneficiario di amnistia, proclamato da Pilato come l’uomo innocente di colpa capitale e infine fatto da lui sedere sulla sedia del giudice e proclamato ai Giudei come loro re. Così Pilato, condannandolo, può esprimere ancora una volta il suo disprezzo per un popolo che uccide il proprio sovrano per farsi schiavo di un potere straniero. Inoltre, fin dal primo colloquio con lui, lo chiama re, e così lo indica ai Giudei: “Ecco il vostro re” (19, 14).

La regalità di Gesù

La verità del processo si gioca, invece, nei due dialoghi in cui Pilato si trova davanti a Gesù. Già dalle prime parole del procuratore diventa chiaro che si tratta della sua regalità: “Tu sei il re dei Giudei?” (v. 33). Nella sua risposta Gesù interpella anche l’autorità di Pilato: “Dici questo da te stesso o altri te l’hanno detto?” (v. 34). Interrogato da Pilato sulla sua dignità regale, Gesù la conferma e nello stesso tempo ne precisa il significato: “Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, le mie guardie avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ora il mio regno non è di quaggiù” (v. 36). In tal modo Gesù adduce la prova del rifiuto a difendersi dalla cattura.

Alla prima precisazione semplicemente negativa segue la spiegazione in positivo, di cui Gesù fa dono a Pilato. Innanzitutto lo sdoppiamento dei mondi (non di questo mondo) si ricompone (sono venuto nel mondo): “Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (v. 37).Gesù viene da un mondo che supera quello presente visibile e ha la potenza di ricondurlo all’unità con Dio. Poi, Gesù collega insieme potere regale e testimonianza alla verità, aprendo la possibilità di entrare in questo nuovo mondo a tutti, Giudei e Romani, a chiunque ascolti la sua voce.

Con la sua venuta Gesù rende la verità, il mistero della sua unità divina con il Padre nello Spirito, visibile, la rende dono che può essere accolto e partecipato, realizzando così nella libertà le più profonde aspirazioni di ogni creatura. Viene tagliata nella lettura la scettica obiezione di Pilato con cui si chiude la breve unità: “Gli dice Pilato: che cos’è la verità?” (v. 38). Chi non ascolta la voce del testimone fedele è condannato a errare tra infinite risposte, tutte inutili perché incapaci di dare ciò che, nel migliore dei casi, solo intravvedono di lontano.

Farsi riconoscere come re nel momento nel quale è incamminato verso la condanna alla morte in croce mostra in modo inequivocabile la prospettiva di potere di Gesù. La potenza di Gesù è intimamente legata alla sua vulnerabilità, all’essersi lasciato ferire per amore fino a morire. Allora possiamo chiederci: quali atteggiamenti assumere nella nostra vita per essere simili a lui? Che risonanza hanno nel nostro cuore parole come: sopportazione, pazienza e mitezza? La chiave per entrare in queste dinamiche è l’umiltà, che si radica nel nostro cuore solamente attraverso le umiliazioni. L’esempio di Gesù ci è di fronte: egli è passato attraverso l’umiliazione della croce per mostrare fino in fondo l’amore “folle” di Dio.                                                              

Bibliografia consultata: Tosolini, 2018; Brunello, 2018.

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