La trasfigurazione (Mt. 17, 1-9) del Signore sul monte Tabor è un evento ben conosciuto della vita di Gesù, e talmente significativo e fondamentale da essere riportato da tutti i vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca). Nel vangelo di Matteo il racconto segue immediatamente la confessione di Pietro (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”) e l’annuncio di Gesù della sua passione e morte. Gesù presenta le condizioni necessarie per la sequela della sua persona e in particolare esorta a prendere ogni giorno la propria croce e a seguirlo con amore, senza pensare a fondare la propria realizzazione nel benessere terreno.
La trasfigurazione e la tradizione giudaica
I dettagli che Matteo evidenzia nel racconto della trasfigurazione riconducono alla tradizione giudaica: “il suo volto brillò come il sole” (v. 2): il volto splendente ricorda l’esperienza di Mosè quando scendendo dal monte, dopo l’incontro con Dio, aveva un volto raggiante di luce; le vesti sfolgoranti richiamano la figura del vegliardo del testo di Daniele (7, 9): “e le sue vesti divennero candide come la luce” (v. 2). Il Messia, secondo le fonti giudaiche, quando si manifesterà sarà rivestito di luce, il vestito perso da Adamo. A questo sfolgorio di luce si aggiunge la presenza dell’intera autorità della Scrittura e della storia della salvezza, “ed ecco apparvero Mosè ed Elia, che conversavano con lui” (v. 3): le figure di Mosè e del profeta Elia rappresentano infatti la Torah (Legge) e l’insieme del messaggio profetico di Israele. Gesù si trova nel mezzo a significarne il compimento.
Ancora una volta è Pietro a reagire a questa situazione, lui che precedentemente aveva mostrato difficoltà a comprendere e accettare il disegno di Dio rivelato nell’annuncio della passione, al punto da essere paragonato a Satana: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (v. 4). Pietro aveva allora dato segno di una ricerca del proprio disegno e non di quello del Signore. Egli dimostra anche ora di non aver ancora compreso l’insegnamento della trasfigurazione: rimaniamo qui, lasciamo perdere di andare a Gerusalemme con tutte le sue conseguenze e restiamo qui a contemplare questo spettacolo straordinario.
La voce del Padre conferma la divinità del Figlio
A questo punto entra in campo la voce del Padre: “questi è il Figlio mio, l’amato…Ascoltatelo!” (v. 5). Per entrare nella logica della trasfigurazione è necessario ascoltare e accogliere la voce del Padre. Tre sono i termini da sottolineare: il primo è l’espressione “il Figlio mio” con la quale la voce di Dio Padre conferma ciò che si era appena manifestato agli apostoli. Gesù è davvero il Figlio di Dio. Il secondo termine è “l’amato”: esso rimanda al testo del Cantico dei Cantici, dove l’amato è protagonista di una vicenda d’amore attraverso la quale Dio fa conoscere all’uomo la sua stessa essenza e al contempo la radice dell’amore umano.
Infine, il verbo all’imperativo “ascoltatelo”, che rimanda al comandamento fondamentale della fede ebraica e alla preghiera quotidiana del pio ebreo: “ascolta Israele! (Dt. 6, 4). All’udire la voce del Signore gli apostoli cadono a terra spaventati (v. 6): nella manifestazione di Dio l’uomo rimane atterrito e comprendiamo così la scelta di un cammino pedagogico attraverso la storia della salvezza, un cammino nel quale il Signore ha rivelato progressivamente il suo volto misericordioso, poiché l’uomo non è in grado di sostenere la rivelazione immediata e completa di Dio. Occorre qualcuno che si renda ponte di collegamento e fondi in una relazione di fedeltà questo rapporto: per questo possiamo ritenere molto importanti i successivi verbi con i quali Gesù si rende “ponte-pontefice” tra il timore degli apostoli e la rivelazione del Padre.
Egli si avvicinò, li toccò e parlò loro; il Signore ancora una volta si rende prossimo, tocca e si lascia toccare nell’esperienza viva e reale della sua persona, non virtuale o fittizia, e infine con la sua parola permette l’incontro del Padre: “Alzatevi, non temete” (v. 7). Ritroviamo qui il verbo della risurrezione, accompagnato dall’invito a non avere paura, perché il Signore trasfigurato consente all’uomo di poter incontrare Dio nella sua vera essenza di amore e di misericordia.
Oggi è la festa della voce del Padre che, proclamando Gesù Figlio suo prediletto, grida dalla nube: “Ascoltatelo!”. Il Padre vuol farci entrare dentro il mistero di questa giornata luminosa che la liturgia ha sintetizzato in una sola parola: “trasfigurazione”. Trasfigurazione significa cambio, novità, rinascita, conversione. Trasfigurazione è uno sguardo di fede sulla realtà dell’umano, del mondo e della storia secondo la misura, la statura e la figura di Cristo Gesù, crocifisso e risorto. Per attuare questo è la conversione del cuore che oggi ci viene richiesta. Il Padre, come ai tre apostoli disorientati per la paura, ripete pure a noi in termini perentori, con la maestà dei momenti solenni, lo stesso comando: Ascoltatelo!
Proviamo ad ascoltare Gesù mentre conversava con Mosè e con Elia sulla vetta della montagna, che è divenuta, all’improvviso, un’esplosione di luce. Anche noi siamo invitati a compiere il nostro esodo, fatto di vittorie sul peccato, di rinascite interiori, di possibilità di ricominciare tutto daccapo con la certezza di farcela. E come Chiesa siamo invitati ad essere una comunità in esodo: occorre decidersi di liberarci dalle antiche schiavitù (il potere, l’avere e il piacere) e di rinnovarci sotto l’urto dello Spirito di Dio.
Bibliografia consultata: Corini, 2017; Boselli, 2017.
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