L’episodio di Lazzaro (Gv. 11, 1-45) ha un ruolo cardine nella struttura del quarto vangelo: esso si colloca al culmine del “libro dei segni” (miracoli) e, nello stesso tempo, funge da ponte al “libro della gloria”. Il contesto antecedente situa Gesù al di là del Giordano: è qui che recano a Gesù la notizia della malattia dell’amico Lazzaro (v. 3). Il ritiro “al di là del Giordano” riconduce Gesù all’inizio del suo ministero, a quel fiume di passaggio, dal quale si muoverà una seconda volta per l’ingresso definitivo nella gloria, attraversando passione e morte con il dono della propria vita. Il contesto successivo alla scena di Lazzaro presenta la reazione dei Giudei con la decisione definitiva di uccidere Gesù.
“Signore, ecco, colui che tu ami è malato” (v. 3). L’inizio del racconto sembra sottintendere che Maria (v. 2) sia il principale anello di congiunzione con Gesù: ella è presentata come “colei che unse di mirra il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli". E’ probabile che questo fosse proprio il titolo con cui questa Maria era conosciuta dalla comunità giovannea: ella era la Maria dell’unzione. Gesù è presentato come “colui che amava Lazzaro e amava le sue due sorelle” (v. 5). Questa enfasi sull’amore di Gesù per Lazzaro appare in contrasto con il suo atteggiamento. Il lettore non può non trovare assai enigmatica la prima reazione di Gesù alla notizia della malattia dell’amico Lazzaro: “questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato” (v. 4).
Questa malattia di Lazzaro “è per la gloria di Dio” perché provocherà il settimo segno (miracolo), il culmine dei segni compiuti da Gesù. Ora i segni, nel Vangelo di Giovanni, sono una rivelazione anticipata della gloria di Gesù, ossia una rivelazione di una nuova dimensione della presenza di Dio in Gesù: come tali trovano il loro momento culminante nella croce, momento e luogo in cui Dio si manifesta in Gesù essenzialmente come amore che dona se stesso. Egli dice agli apostoli che è contento di non essere stato là, perché la morte di Lazzaro darà a loro la possibilità di giungere a un livello di fede più profondo.
“Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25). Quando Gesù arriva nella casa di Marta e Maria, Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro. Gesù non entra in casa per consolare Marta e Maria: Egli è venuto per scontrarsi con la morte e il luogo dello scontro non può essere che il sepolcro. Marta va incontro a Gesù; le sue parole iniziali esprimono la consueta reazione umana di fronte al dramma della morte, un senso acuto di impotenza e di assenza di Dio: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (v. 21). Marta prosegue dicendo a Gesù che “qualunque cosa chiederai a Dio, te la concederà”: queste parole esprimono anche una speranza concreta, anche se ancora indefinita e generica, che Dio possa fare qualcosa di più e che lo farà. E Gesù le dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (v. 25).
Ciò che Gesù qui annuncia è un dono offerto a tutti coloro che credono in lui, un dono del quale la risurrezione di Lazzaro non sarà che un segno per condurre Marta e tutti i credenti, che vivono il dramma della morte, ad una visione in cui la morte appare sconfitta non mediante un ritorno alla vita presente, ma attraverso il dono della “vita eterna” che non viene meno persino di fronte alla morte.
“Gesù scoppiò in pianto” (v. 35). La chiave per spiegare questa reazione di Gesù si trova nelle parole “si commosse e si turbò” (v. 33). Il turbamento di Gesù, come il fremito di indignazione, sono motivati dalla prospettiva della morte, non soltanto quella di Lazzaro, ma la sua, ormai imminente. Questo turbamento annuncia lo smarrimento di Gesù al momento della sua agonia; al turbamento seguono le lacrime del pianto di Gesù, ricordate anche nel passo della lettera agli Ebrei (5, 7), che evoca l’agonia di Cristo: “con forti grida e lacrime”!
“Lazzaro, vieni fuori!” (v. 43). Mentre Gesù si avvicina alla tomba, ancora una volta scosso profondamente, rivolge al Padre una preghiera di ringraziamento, “ti rendo grazie”, che sembra riguardare un evento già accaduto, “perché mi hai ascoltato”. Gesù vuole svelare il significato vero di ciò che sta per compiere: manifestare la gloria di Dio e la possibilità data agli apostoli di credere in lui. Tutti i presenti “vedranno” il fatto della risurrezione di Lazzaro, ma solo coloro il cui vedere è accompagnato dalla fede saranno capaci di comprenderne il valore di “segno”: ossia la manifestazione della presenza (gloria) di Dio in Gesù, arrivando a riconoscere in lui “la risurrezione e la vita” presenti qui e adesso. La scena trova il suo momento culminante nel forte grido di Gesù, che letteralmente possiamo tradurre: “Lazzaro, qui! Fuori!” (v. 43). Lazzaro è riconsegnato alla vita: è tutto. Ma la risurrezione di Lazzaro provocherà la morte di Gesù: “da quel giorno, dunque, decisero di farlo morire” (v. 53).
L’indignazione, il conflitto e la lotta di fronte alla morte non sono in contraddizione con la fede. Il rimedio duraturo contro la morte si ha soltanto in un contesto di fede che fa vedere, al di là della vita e della morte comuni, una vita proveniente da Gesù che va oltre questi confini. Una tale fede arriva a vedere la risurrezione di Lazzaro non come un temporaneo rimedio al dolore di questa particolare famiglia, ma come un simbolo della vita eterna trasmessa da Gesù a tutti i credenti.
Bibliografia consultata: Nason, 2017.
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