Religione, “Oggi è nato a voi il Salvatore”
di Il capocordata
Il racconto della nascita di Gesù (Lc. 2, 1-14) è una delle pagine più note del Vangelo di Luca. Di età in età, l’arte cristiana l’ha riprodotto e, nelle nostre chiese e case, sono molti i presepi che lo evocano per i giovani e per gli anziani.
Le prime parole del racconto (v. 1) nominano il signore del mondo di quel tempo, Cesare Augusto, e accennano al suo decreto di censimento per il mondo intero, cioè l’impero romano. L’evangelista colloca la nascita di Gesù nel quadro della storia generale. Attribuendo ad Ottaviano il titolo divino di “Augusto”, Luca richiama il culto pagano dell’imperatore. L’imperatore romano è contrapposto al Cristo Signore. Cesare Augusto comanda e il messia deve sottomettersi; obbediente fin dalla nascita, vedrà la luce poverissimo nella stalla di Betlem. Ma questo dominio è solo provvisorio: Gesù è l’unico Salvatore, l’unico Signore (v. 11), il solo in cui gli uomini possano trovare la pace (v. 14). Dinanzi all’ordine dell’imperatore pagano, Giuseppe obbedisce: egli sale alla città di David, chiamata Betlem, con Maria, la sua sposa incinta per opera dello Spirito Santo. Il carattere religioso della nascita di Gesù non ne attenua la paradossale indigenza: il suo primogenito (consacrato a Dio), colui che l’angelo chiamerà Salvatore e Cristo Signore è povero tra i poveri.
Ad accoglierlo non c’è una casa sua, ma un rifugio provvisorio in una stalla; è avvolto in fasce e sua madre non ha chi l’aiuti in questa necessità; deve deporlo in una mangiatoia perché non sia calpestato dai piedi degli animali. La povertà che egli predicherà così spesso, è l’aspetto più caratteristico della sua prima infanzia. L’angelo lo dirà: “troverete un bambino fasciato e adagiato in una mangiatoia” (v. 12); la povertà in cui nasce diventa un segno di riconoscimento per i pastori. Ed è precisamente in questa povertà e in questa oscurità che brilla la gloria di Dio e del suo messia, molto diversa dai sogni ambiziosi degli uomini.
Ad annunziare questa “buona novella” sono i pastori dei dintorni di Betlem (v. 8): l’evangelista vede nei pastori i poveri che sono evangelizzati da Gesù nella sua predicazione e molto cari a Luca nel suo Vangelo. I rabbini del tempo erano severi con essi, perché il loro mestiere li teneva lontani dall’insegnamento delle sinagoghe e dall’osservanza minuziosa della Legge. Luca, invece, probabilmente riconosce in loro i “piccoli” a cui il Padre ha voluto rivelare il suo mistero, perché essi non sono schiavi dell’orgoglio che chiude il cuore alla sua grazia.
Il messaggio della salvezza giunge loro mediante l’angelo del Signore (v. 9): egli viene ad annunciare la nascita del messia, come aveva fatto in tutto l’A.T. Ma questa volta l’angelo si manifesta con una trascendenza finora sconosciuta: attorno ai pastori brilla la “gloria” del Signore, cioè, la sua sensibile presenza. I pastori sono presi da timore, come i profeti alla vista del Signore. Non si tratta qui di una paura servile, ma del terrore sacro che il mistero di Dio ispira con la sua grazia e con le sue esigenze.
La prima parola dell’angelo ai pastori, come a Zaccaria e a Maria, ha lo scopo di rassicurarli, eliminando ogni timore (v. 10). Il messaggio dell’angelo è un messaggio di gioia, è già “un evangelo”. Viene trasmesso ai pastori, ma concerne in realtà tutto il popolo di Dio. Il mistero di Gesù è ormai definito (v. 11) con una precisione e una trascendenza che superano largamente tutte le speranze del giudaismo e il linguaggio dei discepoli di Gesù durante la vita terrena del loro maestro.
E’ il “Salvatore”: questo termine certamente allude al nome di Gesù (Dio salva); ma il termine “Salvatore” è il vocabolo cristiano utilizzato nelle chiese di origine greca, come risposta alle religioni pagane che lo applicavano agli “dei salvatori” e in particolare al Cesare divinizzato. Luca se ne serve qui per proclamare di fronte all’imperatore pagano chi sia il vero Salvatore.
Anche il titolo di “Cristo Signore” è esso pure originale, che l’evangelista attinge sicuramente dalla predicazione apostolica, dove esso assume già una risonanza divina. Vi sono altri due elementi significativi nel messaggio dell’angelo: egli annunzia che il bambino è nato “oggi”. Un termine che ricorre spesso in tutto il Vangelo di Luca per mettere in rilievo l’attualità della salvezza. A sostegno della rivelazione che viene fatta loro, i pastori ricevono un segno (v. 12): un povero neonato deposto in una mangiatoia. Sì, è proprio così: nella miseria del bambino del presepio si rivela, a chi ha occhi per vederla, la presenza liberatrice di Dio.
Improvvisamente, a confermare il messaggio dell’angelo del Signore, ecco apparire tutto l’esercito celeste degli angeli che proclama la “gloria” di Dio nel suo dominio soprannaturale del cielo, la trascendenza misteriosa che gli appartiene per sempre. Ma Dio fa consistere la sua gloria nell’usare misericordia: Egli vuole che i suoi possiedano in abbondanza la pace promessa per i giorni della salvezza, che è pienezza di vita soprannaturale che soltanto il Signore può assicurare.
La scena di un Dio che si è fatto piccolo e indifeso, per essere accolto dalle nostre mani, è un preludio già della croce. La sua nascita rivela un carattere “passionale”, manifesta la sua passione per l’uomo, la sua simpatia estrema per lui, che l’ha spinto a condividere la sua condizione. Il problema della fede cristiana è accogliere la carne di Dio che si è fatto solidale con la nostra debolezza. Essa ci rivela quel Dio che nessuno mai ha visto. La scena del Natale, l’impotenza di Dio che si umilia, si restringe e si concentra in un bambino, si contrappone alla potenza umana che si autoesalta, si dilata e si consuma in un censimento mondiale, il primo della storia. La grandezza enorme di Dio sarà quella del piccolo, il suo splendore affascinante quello del bimbo fasciato, il suo aspetto tremendo quello di un corpo tremante nella mangiatoia. Buon Natale!
Bibliografia consultata: George, 1970; Fausti, 2011.