L’appello del Battista alla conversione non cade nel vuoto: l’evangelista Luca (3, 10-18) descrive il dialogo intercorso tra Giovanni e tre gruppi che lo interrogano su ciò che è indispensabile compiere per fare frutti degni di conversione e predisporsi ad accogliere il Signore che viene (vv. 10-14). La conversione (metànoia) non concerne solo la dimensione rituale, il battesimo, ma esige una radicale svolta esistenziale. Pertanto, Giovanni esorta le folle alla condivisione con chi vive nell’indigenza.
In particolare, si fa riferimento alla necessità di donare una tunica a chi ne manca: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” (v. 11). Considerato che nell’antichità l’abito esprimeva la dignità di chi lo indossava, esserne privi era segno di vergogna e di disprezzo; pertanto, rivestire una persona ignuda era ritenuta non solo un’opera raccomandata dai profeti, ma un vero e proprio atto attraverso cui restituire dignità a chi l’aveva perduta. Allo stesso modo, provvedere il cibo agli affamati è il vero digiuno che Dio gradisce, inteso non più come privazione fine a se stessa, ma come condivisione che genera comunione, riscatto della povertà e restituzione della dignità al povero.
Ai pubblicani che si erano recati presso di lui per farsi battezzare (v. 12), Giovanni chiede di non esigere tributi più elevati dalle autorità imperiali. Essi erano infatti incaricati dai funzionari dell’Impero romano di riscuotere le tasse dai loro concittadini da versare all’erario romano; potevano agire indisturbati e lucrare sui proventi della riscossione dei tributi perché protetti dalle truppe romane. Per questa ragione erano odiati dai Giudei e banditi dal tempio, perché si erano venduti al soldo degli occupanti.
Anche per loro, tuttavia, esiste la possibilità del ravvedimento, che si concretizza nell’esercitare la propria attività con onestà e giustizia. Tra la folla che accorre al Giordano si segnalano anche alcuni soldati, romani o stranieri al servizio di Erode (v. 14); anche nei loro riguardi il Battista rivolge un appello che deve tramutarsi in impegno concreto a contentarsi delle loro paghe, senza abusare della loro posizione di forza per estorcere con la violenza denaro o altri benefici.
La predicazione autorevole di Giovanni crea all’interno del popolo una viva attesa nei confronti della sua persona: è lui il messia che Israele attende? “Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo” (v. 15). L’attesa messianica era profondamente radicata nella coscienza del popolo israelita, soprattutto in un’epoca in cui l’oppressione romana era avvertita come insopportabile.
“Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me…..Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (v. 16). La replica di Giovanni alle attese popolari è netta: non è lui il messia. Il suo battesimo avviene per mezzo dell’acqua; colui che verrà, invece, battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Se lo Spirito è dono di salvezza e ha il potere di rinnovare il cuore di chi lo riceve, il simbolo del fuoco esprime l’immagine del giudizio di purificazione.
L’attività lustrale del Battista prepara al perdono dei peccati; tuttavia, la riconciliazione piena e definitiva con Dio è ottenuta solo attraverso l’effusione dello Spirito donato da colui che Giovanni definisce “il più forte”, titolo tradizionalmente attribuito a Dio. Dichiarando di non essere degno neppure di sciogliere i legacci dei sandali di colui che verrà battezzando in Spirito Santo e fuoco, Giovanni riconosce di essere inferiore allo schiavo di casa addetto all’accoglienza dell’ospite.
Il Battista, pur gratificato dal consenso popolare, nella sua umiltà non si arroga prerogative che non gli spettano. Difatti, il discernimento e il giudizio finale non competono a lui: il ventilabro per separare il grano dalla pula è nelle mani del più forte. La sua predicazione ha la funzione di predisporre il popolo ad accogliere il Messia, motivando tutti alla conversione. Pertanto, le sue parole con precludono, ma aprono alla salvezza; sono una buona notizia per il popolo, come conferma l’uso del verbo “evangelizzare”: “Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo” (v. 18). Le esortazioni di Giovanni non suonano come una condanna definitiva, ma esortano a tornare a Dio riconoscendo in Gesù, il Messia, il dono della pace.
Si parla di Giovanni come del Precursore, come di colui che ha preparato la via al Signore. Come le folle, i pubblicani e i soldati, anche noi poniamoci umilmente la domanda: che cosa dobbiamo fare? E’ il punto di partenza di ogni conversione: rinunciare alla propria presunta sufficienza, riconoscere la necessità di uscire da noi stessi, spogliarci della convinzione di essere infallibili, completare il nostro punto di vista confrontandoci con l’altro e accogliendo il suo.
Bibliografia consultata: Landi, 2018; Boselli, 2018.
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