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Religione, prostratisi, lo adorarono

La celebrazione liturgica del Santo Natale culmina con il racconto, nel vangelo di Matteo (2, 1-12), dell’adorazione dei magi giunti da Oriente: figure simbolo delle nazioni che riconoscono in Gesù il Messia e il Salvatore; la loro determinazione e il loro coraggio assumono un valore paradigmatico per i cristiani della comunità giudeo-cristiana e di ogni tempo. Infatti, essi si lasciano condurre dai segni di Dio, ascoltano le Scritture e non temono i potenti della terra.

“Nato Gesù a Betlemme di Giudea” (v. 1)

Non si menzionano i suoi genitori umani, perché Gesù è generato dallo Spirito Santo nel grembo di Maria, come viene espresso dall’uso passivo (“nato”) del verbo greco. La sua nascita si colloca a Betlemme, distante circa 9 Km a sud di Gerusalemme, la città del re Davide. L’evangelista informa il suo lettore che la nascita di Gesù avviene in concomitanza con il regno di Erode, che ha governato le sorti del popolo israelita tra il 37 e il 4 a.C. I due eventi sono abbinati senza un pizzico di ironia: colui che regnava sul popolo non era di origine giudaica, poiché era idumeo, e non poteva garantire alcuna salvezza al suo popolo, perché poteva agire solo sotto tutela dell’imperatore romano. Gesù invece è descritto come il vertice della genealogia israelita: l’Emmanuele, il Dio con noi (1, 23).

L’ingresso in scena dei Magi

Alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme” (v. 1): entrano in scena i magi che provengono dall’Oriente. E’ possibile che si tratti di astrologi dediti all’osservazione delle posizioni e dei movimenti dei corpi celesti o aderenti alla classe sacerdotale persiana. Di fatto non appartengono al popolo di Israele, perché chiedono agli abitanti di Gerusalemme: “dov’è colui che è nato, il Re dei Giudei?” (v.2). Essi erano stati attirati sino a Gerusalemme dalla vista di un astro luminoso. Nell’antichità era diffusa la convinzione che la nascita di un uomo, tanto più se si trattava di un uomo illustre o destinato a regnare, era accompagnata dall’accensione di una stella nel firmamento celeste.

I magi precisano lo scopo che li ha indotti a partire: “siamo venuti per adorarlo” (v. 2). L’atto della prostrazione era riservato alla divinità e alle autorità imperiali: dichiarando di voler omaggiare con un simile atto di venerazione il fanciullo, i magi tributano onori regali e divini. L’evangelista richiama alla mente la previsione di Balaam (Num. 24, 17), il profeta straniero che preannuncia lo spuntare di una stella da Giacobbe e il sorgere di uno scettro regale da Israele, prefigurando l’avvento del Messia che guiderà il popolo di Dio.

La reazione di Erode e di Gerusalemme

L’arrivo dei magi mette in agitazione Erode e tutta Gerusalemme. Il verbo greco denota uno sconvolgimento provocato da un evento improvviso e imprevisto. Erode vuole vederci chiaro: convoca i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo. Il re vuole conoscere quale sia il luogo in cui doveva nascere il messia: la scrutazione delle Scritture orienta alla citazione del passo di Michea 5, 1.3 : “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele” (v. 6). Da Betlemme uscirà un capo, il cui incarico non sarà di carattere militare bensì pastorale: egli pascerà il mio popolo Israele. Erode convoca i magi e prova a carpire preziose informazioni; interroga i suoi ospiti per ricostruire con esattezza la data in cui è nato il bambino. Che le sue intenzioni siano tutt’altro che benevole, lo conferma la decisione di uccidere tutti i bambini nati negli ultimi due anni a Betlemme.

Si prostrarono e lo adorarono

Il cammino dei magi riprende sotto la guida della stella. Alla vista del bambino e di sua madre, essi si prostrarono innanzi a lui: nel vangelo il verbo “prostrarsi” è l’atteggiamento con il quale i supplici e gli apostoli si rivolgono a Gesù, riconoscendo in lui la presenza di Dio. L’atto di venerazione al bambino culmina con l’omaggio dell’oro, dell’incenso e della mirra, che corrisponde alla profezia di Isaia 60, 6, in cui si prefigura il futuro pellegrinaggio delle nazioni a Sion alla fine dei tempi. La tradizione ha attribuito ai singoli doni il valore simbolico della regalità (oro), della divinità (incenso) e della passione (mirra) di Gesù. In Oriente, l’incenso e la mirra erano ritenuti oggetti preziosi e lussuosi, impiegati come aromi o farmaci nell’ambito delle cerimonie nuziali o delle pratiche magiche.

Il racconto termina con l’uscita di scena dei magi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode. Il sogno rappresenta lo strumento comunicativo attraverso il quale Dio fa conoscere la sua volontà, orientando i passi di Giuseppe e dei magi perché, attraverso di loro, prosegua l’adempimento della sua volontà di salvezza. Il Signore è sempre all’opera e indica il percorso da seguire perché il suo Figlio possa iniziare la sua missione di salvezza.

Bibliografia consultata: Landi, 2018.

Redazione

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