Religione, rendere gloria a Dio
di Il capocordata
L’appello a Gesù
Che al di fuori di un villaggio ci si potesse imbattere in un gruppo di lebbrosi, non desta particolare stupore. Le leggi sulla purità imponevano infatti agli ammalati di lebbra di tenersi fuori dai centri abitati, onde evitare il propagarsi della malattia. Possiamo immaginare in quali condizioni vivessero quei disperati, abbandonati a se stessi e privi del sostentamento necessario per vivere. Da ciò si capisce il grido disperato che essi rivolgono a Gesù, la cui fama di guaritore doveva essersi diffusa nella regione: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” (Lc. 17, 11-19).
Il titolo “maestro” si trova solo nel vangelo di Luca e ricorre sempre in situazioni critiche e disperate. Tale titolo esprime un appello affinché egli intervenga con il suo potere taumaturgico (che guarisce) per risolvere situazioni senza via di uscita. L’invocazione “abbi pietà di me” non necessariamente esprime una piena consapevolezza della divinità di Gesù. Il fatto poi che dei dieci lebbrosi solo uno sia tornato indietro, conferma che gli altri non hanno afferrato la vera identità di Gesù, considerandolo evidentemente come un grande guaritore, ma non certo come Dio.
In ogni caso, il fatto che Gesù li avesse mandati dai sacerdoti prima ancora di essere guariti, oltre che corrispondere alle prescrizioni della Legge, doveva costituire una prova per saggiare la loro fede nel suo potere. Come riferisce il racconto, essi obbediscono prontamente all’ordine di Gesù e, lungo il cammino, constatano l’avvenuta guarigione. Tuttavia, se la fiducia in Gesù li guarisce dalla malattia, ciò non significa ancora che essi siano stati “salvati” (v. 19). Una prova della superficialità della loro fede consiste proprio nel fatto che solo uno, e per di più straniero, samaritano, torna indietro per ringraziare Gesù (vv. 15-16).
Una guarigione non solo esteriore
Il lettore rimane colpito dalla prontezza con cui il samaritano, senza nemmeno recarsi dai sacerdoti, torna sui suoi passi alla ricerca di Gesù (v.15). Il verbo “ritornare” possiede non solo un significato spaziale (tornare indietro), ma anche spirituale, a indicare il percorso di conversione che, partendo dalla guarigione del corpo, coinvolge l’interiorità della persona. In fondo è proprio qui che risiede il motivo per cui dei dieci solo uno è stato “salvato”, non perché gli altri siano stati dichiarati dannati, ma perché solo lui, il samaritano, ha saputo scorgere nella persona di Gesù l’azione provvidenziale e salvifica di Dio: “vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo” (vv. 15-16).
Non è da escludersi che il samaritano guarito abbia davvero percepito Gesù come una figura divina, riservandogli un atto di autentica adorazione, come i verbi “eucharisteo e proschineo”ci suggeriscono.
Il fatto, più volte sottolineato, che si tratti di un samaritano, non è di secondaria importanza, poiché mostra che la misericordia di Dio in Gesù va ben oltre i confini etnico religiosi del popolo giudaico, raggiungendo così anche i più lontani, come mostrerà ampiamente il racconto degli Atti degli Apostoli.
Gesù reagisce a sua volta con tre domande retoriche che, travalicando i confini del racconto, raggiungono i lettori, denunciando apertamente la superficialità di una fede che, fermandosi all’esteriorità degli eventi, non ne percepisce il significato profondo. Di contro, al samaritano Gesù rivolge una parola carica di speranza: “Alzati e và, la tua fede ti ha salvato!” (v. 19). Dalla sentenza pronunciata dal Signore si comprende che la fede, lungi dall’essere una semplice accettazione di un sistema dottrinale, è anzitutto adesione alla persona di Gesù. Tale adesione comporta inevitabilmente un’intima trasformazione della persona, imprimendo all’esistenza un orientamento decisivo e totalizzante.
Rendere grazie, glorificare Dio è infatti riconoscere che l’attore principale nella nostra vita non è il nostro io, ma Dio; è decentrarsi per trovare il proprio baricentro non più in se stessi, ma fuori di sé. In fondo il samaritano guarito ha saputo porre in atto tale decentramento, spostando il baricentro della propria esistenza sulla persona di Gesù, divenendo inconsapevolmente modello per le generazioni dei credenti che verranno. Gratitudine e fede camminano di pari passo. Pertanto possiamo verificare nella nostra vita quanto siamo riconoscenti al Signore per i suoi doni e come la nostra adesione filiale a lui si esprime nel lodarlo e ringraziarlo.
Sì, solo uno è tornato indietro e i suoi gesti esprimono quello che passa per il suo cuore. Loda Dio a gran voce perché nella sua guarigione vede un segno della sua bontà, della sua misericordia che opera attraverso di te. E poi si prostra ai tuoi piedi, riconosce che non sei una persona qualunque. Tu non solo sei un Maestro: tu sei molto di più, sei colui che salva, che strappa al potere del male e del peccato, tu fai fiorire la speranza, donando la purificazione desiderata. Signore Gesù, le cose non sono cambiate molto: anche oggi, in fondo, c’è tanta gente che vive come se tutto le fosse dovuto, che gestisce il suo tempo ignorandoti, che ritiene di essere padrona della sua vita e delle sue capacità e non avverte il bisogno di ringraziare Dio.
Bibliografia consultata: Gennari, 2019; Laurita, 2019.