E’ evidente che, nel vangelo, la trasfigurazione occupa un posto centrale sotto l’aspetto teologico e sta ad indicare una svolta decisiva del ministero pubblico di Gesù. Da parte di Gesù, la trasfigurazione è una presa di coscienza intensa della sua messianicità. Essa giunge al momento cruciale in cui Gesù, che ha avvertito le reticenze dei capi religiosi di Israele e l’indifferenza della folla ma è stato riconosciuto come messia da Pietro e dai discepoli, rivela loro come si attuerà la sua opera: la sua glorificazione consisterà in una risurrezione al termine del passaggio attraverso la sofferenza e la morte. Lo scopo della trasfigurazione è dunque di anticipare agli occhi dei discepoli la gloria dell’ultimo giorno, condensata in quel Gesù che vive quotidianamente con loro. La gloria esiste già nel Figlio dell’uomo che vive sotto i loro occhi. Essi devono dunque ascoltare e seguire Gesù lungo la strada che sale a Gerusalemme, verso la gloria attraverso la croce. Prima delle amarezze passeggere della Passione, i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni pregustano per un istante la gloria definitiva.
La trasfigurazione secondo Matteo (17, 1-9)
“E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (v. 2). Dio decide di rivelare il suo “mistero” agli apostoli prescelti nella persona del Figlio. Apre gli occhi di questi testimoni perché intravvedano, grazie ad una rivelazione, la gloria divina nascosta nell’umile condizione umana assunta dal Figlio, e perché sappiano scoprire in lui il Figlio dell’uomo annunciato dai profeti per la fine dei tempi. Dopo la rivelazione propriamente divina, gratuita e inattesa, contenuta nella professione di fede di Pietro, segue ora quella della trasfigurazione, più appariscente, più maestosa. Pietro passa ancora una volta in primo piano quando propone di rizzare tre tende, e riceve la grazia di ammirare nella gloria del Cristo trasfigurato quanto aveva saputo intravedere a Cesarea di Filippo sotto l’ispirazione divina.
“Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui” (v. 3). Mosè, come rappresentante della Legge, Elia, come rappresentante dei profeti, sono i due testimoni e precursori della venuta del Figlio dell’uomo. Essi parlano con Gesù trasfigurato, probabilmente, come afferma il vangelo di Luca, sulla sua prossima drammatica dipartita a Gerusalemme.
Inoltre, la trasfigurazione è accompagnata dalla parola rivelatrice del Padre: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (v. 5). La voce proviene dalla nube, identica a quella del battesimo di Gesù. Matteo sottolinea il motivo di compiacenza divina, che può essere collegato al testo di Isaia (42, 1) sul Servo sofferente del Signore. L’evangelista, poi, è l’unico a sottolineare lo spavento degli apostoli prostrati con la faccia a terra. Pietro, Giacomo e Giovanni non vengono rimproverati, perché il timore sacro rappresentava un atteggiamento normale della teofania (Dio che si rivela all’uomo). Gesù li invita a rialzarsi e impone loro di mantenere segreta la visione di cui hanno beneficiato, “finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti” (v. 9).
All’inizio del suo ministero, Gesù era stato condotto dal diavolo “su un monte alto”, e in quella occasione aveva ricusato di cadere ai piedi del tentatore per ottenere da lui una potenza che solo Dio può dare. A questo atto di sudditanza iniziale verso Dio, risponde la voce celeste “sull’alto monte” della trasfigurazione. Proclamando in Gesù il Figlio preesistente, essa accredita l’insegnamento nuovo e il destino che Dio ha scelto per il suo “servo”, la via della gloria celeste attraverso l’umiliazione. Questa sovranità sul cielo e sulla terra, ricevuta da Dio solo, Gesù la potrà delegare ai discepoli riuniti “sulla montagna” dell’ascensione (Mt. 28, 18-20).
L’evangelista vuole convincere i suoi lettori giudeo-cristiani che la legge di Mosè è superata da quella di Gesù: nella persona di Mosè e di Elia, tutta la Scrittura e Mosè in primo luogo, viene a rendere testimonianza e omaggio a Gesù. Egli è il nuovo profeta, simile a Mosè e più grande di lui, che bisogna ascoltare. La scomparsa di Mosè e di Elia dopo la proclamazione divina, dimostra che le figure dell’A.T., anche le più venerabili, scompaiono di fronte alla verità del Figlio. Gesù è sufficiente, egli è l’unico Dottore degli uomini, il legislatore definitivo dell’umanità: “Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo” (v. 8).
La trasfigurazione rivela anche alcune tracce di fede e di teologia pasquali, come prova innanzitutto il titolo di “Signore” (v. 4) con cui Pietro si rivolge a Gesù trasfigurato. Questo titolo fu attribuito dalla chiesa primitiva al Cristo risorto per esprimere la filiazione divina e il trionfo sulla morte. Anche l’uso particolare del verbo “alzatevi” che Gesù rivolge ai tre discepoli prostrati a terra, evoca la risurrezione di Gesù. La forza della risurrezione è già in atto nella vita e nella fede degli apostoli del Cristo.
Infine, per l’evangelista Matteo, Gesù trasfigurato è anche il fondatore della chiesa, assemblea dei credenti ai quali è venuto a portare dottrina e vita prima di trasferirli nel suo Regno. Narrando l’avvenimento della trasfigurazione, l’evangelista e la sua chiesa utilizzano il medesimo linguaggio e dimostrano la stessa venerazione dei discepoli di fronte alle prime apparizioni del Risorto.
Assistiamo alla trasfigurazione dell’umanità e della storia di Gesù per mezzo della sua risurrezione e della sua signoria divina. Sul volto del Signore affiorano la gloria del Padre invisibile e lo splendore dello Spirito. L’immagine di Cristo trasfigurato nobilita per sempre anche il volto umano più sfigurato, e ogni vita umana è illuminata dal fatto che, in Gesù, lo Spirito si è fatto incandescente. Il mondo stesso si trasfigura per il suo Signore e si dispiega in previsione della sua eternità (Teilhard de Chardin).
Bibliografia consultata: Coune, 1973.
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